Il 7 dicembre 2020 ricorreva il 55° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. Nell’allocuzione finale, Paolo VI mise in risalto il paradigma della spiritualità del Concilio, individuandolo nella storia del Samaritano. Al centro di quel discorso c’era il «nuovo umanesimo» conciliare e la svolta della Chiesa «verso la direzione antropocentrica della cultura moderna». Questo diceva il Papa tenendo a mente Gaudium et spes approvata proprio poco prima, in cui il discorso è rivolto all’uomo, cardine di tutta l’esposizione. Trattazione ahimè più sociologica che teologica, come rimproverato perfino da K. Rahner. Dopo 55 anni, dovremmo chiederci se con questo approccio antropologico/antropocentrico abbiamo davvero scoperto Cristo partendo dall’uomo o se invece siamo rimasti ancorati solo all’uomo, ma poi per perderlo di vista e occuparci di altro.

 

Per approfondire l’argomento consigliamo anche la lettura di due libri di P. Lanzetta sull’argomento: “Iuxta Modum. Il Vaticano II riletto alla luce della tradizione della Chiesa” (Cantagalli, 2012); “Il Vaticano II, un Concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari” (Cantagalli, 2014).

 

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