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Fides Catholica

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Il “cuore” nella Sacra Scrittura è il centro della persona, lì dove s’incrociano pensieri, desideri, scelte; dove viene concepito il bene e il male. Il «cuore puro», capace di vedere Dio, è il «cuore nuovo» promesso dai profeti quale dono dall’alto per poter vivere finalmente secondo la legge dell’amore di Dio. Questo cuore nuovo è il Cuore di Cristo, centro teandrico del Verbo incarnato, luogo della nostra salvezza e riconciliazione con il Padre. Il Cuore di Cristo è soprattutto simbolo della sua ardente carità, manifestata nel dono dell’Eucaristia, del Sacerdozio e della Vergine Maria. Dal «desiderium desideravi» di Lc 22,15, attraverso quell’«in finem dilexit eos» (Gv 13,1), arriviamo a contemplare questo Cuore totalmente squarciato per noi nel «consummatum est» (Gv 19,30). Questo Cuore rimarrà così per sempre aperto e in attesa.

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Catechesi di P. Serafino M. Lanzetta, tenuta a Radio Buon Consiglio il 27 aprile 2020.

Gesù è il «Buon Pastore» che dà la vita per le sue pecorelle. Questo dare la vita è da leggersi in modo sacrificale: Gesù offre la sua vita come sacrificio di riparazione per i nostri peccati. Qui al testo di Giovanni (10,11-14) fa da sfondo la teologia sacrificale del IV carme del Servo sofferente di Isaia 53,10 e il dare la vita in riscatto per molti di Mc 10,45. Due sono le caratteristiche del Buon Pastore: 1) la conoscenza reciproca del Pastore e delle sue pecore è radicata nella conoscenza del Padre e del Figlio; 2) Gesù dà la sua vita in sacrificio per noi. Due allora saranno le caratteristiche per discernere un vero e buon pastore da un semplice mercenario: 1) se egli rimane fedele alla medesima “conoscenza” di Cristo, ovvero nella dottrina del Logos, insegnando il Vangelo secondo la perenne Tradizione e 2) se è infiammato della medesima carità pastorale nel dare perfino la sua vita per la salvezza delle pecorelle. Un mercenario non è interessante al Vangelo né pertanto alle anime da salvare.

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Catechesi di P. Serafino M. Lanzetta, tenuta a Radio Buon Consiglio il 4 maggio 2020.

Maria è veramente “Corredentrice” perché è veramente nostra Madre. Il fatto che il Concilio Vaticano II non abbia utilizzato il termine per motivi ecumenici non significa che questa verità sia stata di colpo abolita dal patrimonio della fede della Chiesa. Oltretutto, l’ultimo Concilio vi fa riferimento anche senza utilizzare la parola (cf. ad es. LG 58). “Corredentrice” significa che Maria ha collaborato attivamente con Cristo alla nostra rigenerazione soprannaturale. Se la sua maternità spirituale non fosse corredentiva, cioè generativa della grazia della salvezza nel suo dolore di Madre, come di una partoriente durante il travaglio del parto, non sarebbe reale ma solo simbolica. Intimistica. Di più, se Maria non è Corredentrice non è neppure discepola. Seguire Cristo fedelmente implica un assenso, una collaborazione con la grazia, una cooperazione. La Vergine Maria è discepola in modo unico perché ha collaborato con Cristo in modo singolare non alla sua ma alla nostra salvezza. Virgo Co-redemptrix ora pro nobis!

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La svolta antropologica di Rahner mette l’uomo al centro e non più Dio. La grazia è già presente nella natura anche se solo in modo atematico. Tutti perciò sono cristiani anche se non lo sanno. I sacramenti e in particolare il Battesimo sono svuotati del loro potere salvifico nel produrre la grazia. La missione della Chiesa viene affossata: perché fare proseliti, perché evangelizzare e convertire a Cristo se tutti sono già salvi perché cristiani anonimi? La morale diventa un’opzione fondamentale: l’uomo è trascendentalmente sempre aperto verso Dio anche se commette qualche azione che non è proprio corretta; quindi il peccato scompare. L’uomo deve accettarsi per quello che è. La distinzione tra sacro e profano viene eliminata e la liturgia diventa così sciatta e banale. Dio è nel mondo e il mondo è il vero luogo teologico della fede e della Chiesa. Oggi vediamo come su un grande schermo le conseguenze di questa teoria rivoluzionaria e non cattolica.

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La petizione per una nuova definizione dogmatica in ambito mariano fu avviata nel 1915 dal Cardinale belga Mercier. Questi chiedeva che venisse definita Maria quale “Mediatrice universale”. Nel 1921, la S. Sede concesse la festa liturgica di Maria “Mediatrice di tutte le grazie”. La supplica per un nuovo dogma mariano si è rafforzata in seguito alle apparizioni mariane di Amsterdam (1945-1959), in cui si chiede di definire Maria come “Corredentrice, Mediatrice e Avvocata”. Un nuovo dogma mariano è possibile perché la dottrina definibile appartiene alla Rivelazione di Dio. La Chiesa crede, e il Magistero lo ho reiterato a più riprese, che Maria ha cooperato in modo singolare alla nostra Redenzione, che è Mediatrice di tutte le grazie e la nostra Avvocata, cioè Colei che con la sua preghiera intercede a nostro favore. Un nuovo dogma mariano sarebbe oltretutto convenientissimo: restituirebbe alla Chiesa il suo carisma più proprio di insegnare infallibilmente la fede e potrebbe segnare così l’inizio del trionfo del Cuore Immacolato, riversando su tutti i fedeli un torrente di grazia.

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Catechesi di P. Serafino M. Lanzetta, tenuta a Radio Buon Consiglio il 18 maggio 2020.

Recentemente si è riaccesa la disputa circa la convenienza o meno della consacrazione a Maria, a cui si preferisce in gran lunga affidamento. Quando avviene questo cambio di rotta? A partire dal 1960, quando alcuni teologi gesuiti ritennero che consacrazione implicasse sempre un atto di latria e che quindi dovesse essere riservata solo a Dio. A Maria ci si poteva consacrare – come attestato dai secoli precedenti – ma solo in modo lato e improprio. Giovanni Paolo II con l’enciclica Redemptoris Mater in qualche modo renderà ufficiale il neologismo “affidamento” che prenderà così il sopravvento su consacrazione. In realtà, il vero problema che soggiace a questa variazione ha 3 radici: a) la perdita post-conciliare del concetto metafisico di analogia e di partecipazione; b) il problema della Corredenzione e c) l’abbandono della teologia del sacrificio che dà sostanza a consacrazione, cioè all’essere sacrificati esclusivamente a Dio per mezzo di Maria. Affidamento è una perdita non un guadagno.

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Catechesi di P. Serafino M. Lanzetta, tenuta a Radio Buon Consiglio il 25 maggio 2020.

L’ingegnarsi presente su come distribuire l’Eucaristia ai fedeli, con le trovate più strambe e più irrispettose dell’augusto Sacramento, non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato l’indulto di poter distribuire la Comunione sulla mano. Indulto che nasce per rimediare a un abuso liturgico diffusosi in diverse nazioni a partire dal 1965: dare l’Eucaristia in mano al fedele. Oggi tale indulto è diventato indiscutibile. Però il fedele ha ancora diritto di ricevere la Santa Comunione secondo la legge universale della Chiesa, in ginocchio e in bocca (anche in tempi di pandemia), evitando che un permesso si trasformi di fatto in un’imposizione. Tuttavia c’è una visione teologica che soprassiede al tutto, la quale si può sintetizzare in una domanda: l’Eucaristia è stata istituita anzitutto per essere ricevuta in cibo o per essere adorata? Oppure: viene prima il sacrificio o il banchetto? Da un corretto coordinamento delle due dimensioni, subordinando il momento conviviale a quello sacrificale e adorante, deriva anche il modo giusto, devoto e più degno di ricevere la Santa Comunione.

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Catechesi di P. Serafino M. Lanzetta, tenuta a Radio Buon Consiglio l’8 giugno 2020.

È proprio vero che ciò che conta è la sostanza e non la forma nel ricevere la S. Comunione? L’Eucaristia è il Corpo di Cristo, perciò anche il mio corpo deve assumere le fattezze del Corpo immolato del Signore per essere degno di riceverlo. Inginocchiato e ricevendo la Comunione in bocca, esprimo l’abbassamento del Verbo che si fa carne per farsi pane. Tutte le possibili obiezioni che si muovono alla Comunione in bocca e in ginocchio sono riassumibili in un’idea teologica di fondo che equipara la S. Messa all’Ultima Cena. Di qui l’autorizzazione a prendere e a mangiare. La S. Messa, in verità, non ripresenta l’Ultima Cena, ma il Sacrificio della Croce, istituito nella «notte in cui il Signore veniva tradito», quale sacrificio visibile dell’offerta che Cristo fa di Se stesso sul Calvario una volta per tutte. Se l’Ultima Cena non è l’istituzione memoriale del Sacrificio dell’Agnello, la Croce è una mera esecuzione di un condannato a morte.

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Video-catechesi di P. Serafino M. Lanzetta sull’unità del Mistero Pasquale di Cristo e sulle conseguenze derivanti da un’arbitraria separazione della Passione e Morte dalla Risurrezione.

Il Mistero Pasquale di Gesù – la Passione, Morte e Risurrezione – è un tutt’uno e va considerato sempre nella sua inscindibile unità. La Croce senza la Risurrezione sarebbe la mera esecuzione di una condanna a morte, come la Risurrezione senza la Croce una gloria senza la redenzione, un successo senza la sofferenza. La tentazione più ricorrente e all’ordine del giorno è quella di separare la Risurrezione dalla Croce: una sorta di emancipazione pentecostale della Chiesa. Ciò ha ripercussioni rovinose in teologia e nella vita liturgica della Chiesa. Si pensi alla Messa, il più delle volte intesa come mero convivio e non più sacrificio dell’Agnello divino, da cui scaturisce la Comunione con Lui. La Santa Comunione è data sulla mano al fedele rigidamente in piedi, perché risorto. Giustizia e misericordia sono poste l’una contro l’altra e la penitenza scompare per fare posto alla festa. Una festa e una gioia, però, che senza essere lavate nel Sangue di Cristo risultano vuote. Come vuote sono molte nostre parrocchie.

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Video-catechesi di P. Serafino M. Lanzetta sul diavolo in relazione al problema del male.

Se il male è una privazione di bene, allora il diavolo cos’è? Oppure, con Sant’Agostino, se il diavolo è l’autore del male, da dove viene il diavolo? Ammettere il male come entità in sé, conduce o a ritenere che il diavolo sia un Dio malvagio ed eterno, nemico del Dio buono, oppure che, quantunque entità creata e finita, sia comunque voluta da Dio. Quindi in ultima analisi Dio sarebbe l’autore del male. Il male in sé non esiste, ma è solo un’assenza di bene. Il diavolo è una creatura buona che si è ribellata a Dio e perciò è divenuta malvagia. Il peccato è la radice di questa perversione della libertà, sia nel diavolo che nell’uomo. È rassicurante tuttavia il fatto che satana è un essere finito, perciò un problema limitato. Se viviamo in Dio, la sua insidia diabolica diventa un aiuto spirituale: ci spinge a vivere da veri cristiani, armati di fede, speranza e carità. Cioè ad essere santi.

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