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Grotta di Betlemme

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di P. Serafino Maria Lanzetta

Le testimonianze della tradizione

Nei Vangeli abbiamo pochi dati storici sulla nascita di Gesù ma sufficienti per custodire il mistero. Da Matteo e Luca apprendiamo che Gesù nacque a Betlemme di Giuda (cfr. Mt 2,1; Lc 2,4). Solo da San Luca sappiamo che non c’era posto “nella locanda” (o “nell’alloggio”) e che, per questo motivo, il bambino fu avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia (cfr. Lc 2,4-7). La visione tradizionale ritiene che Gesù sia nato in una grotta. L’unico riferimento biblico letterale è il fatto che Nostro Signore fu deposto in una “mangiatoia” (cfr. Lc 2,7: phátne). Tuttavia, ci sono testimonianze storiche dei primi Padri della Chiesa sulla nascita di Gesù in una grotta: San Giustino Martire (150 d.C.), secondo il quale Gesù è nato in una grotta utilizzata come stalla, anche se non proprio la tipica stalla in pietra e legno così familiare nella nostra arte cristiana; poi Origene (250 d.C.) e San Girolamo (325 d.C.). Nel 335 d.C. l’imperatore Costantino costruì la Basilica della Natività nel luogo in cui era stata individuata la grotta della natività di Gesù a Betlemme, grazie alle testimonianze storiche di questi primi Padri della Chiesa.

Formuliamo un’ipotesi che ci accingiamo a discutere: se la grotta della nascita di Gesù a Betlemme, su cui è stata costruita la Basilica della Natività, e che prima, nel 130 d.c., l’imperatore pagano Adriano, cercando di profanare i luoghi santi ebraici e cristiani in Palestina, aveva ironicamente contribuito a conservarne l’identità, non dovesse più essere il luogo della nascita di Nostro Signore alla luce di una nuova scoperta esegetica, questa nuova posizione potrebbe semplicemente mettere in discussione l’ormai plurisecolare accoglienza dell’autenticità storica di un sito così antico? Il nocciolo della questione, su cui penderebbe l’intera vicenda, è una diversa traduzione di una sola parola. Sarebbe ciò sufficiente per rinunciare all’assunto tradizionale?

Non c’era posto nella stanza degli ospiti?

Perché formuliamo quest’ipotesi? Più recentemente, a partire in particolare dagli studi di Kenneth Bailey (1930-2016, ministro presbiteriano, autore prolifico negli studi sul Medioriente nel Nuovo Testamento mediorientale), in particolare nella sua opera intitolata Jesus Through Middle Eastern Eyes. Cultural Studies in the Gospel (2008), la visione classica del luogo della nascita di Gesù è stata messa in discussione, favorendo una nuova teoria: Gesù sarebbe nato in una normale abitazione del tempo. Bailey segue l’interpretazione di Alfred Plummer (1841-1926, ecclesiastico e biblista della Chiesa Anglicana), nella sua opera Gospel According to St Luke, 5th ed., International Critical Commentary (1922).

Diversi argomenti sono portati a sostegno di questa nuova teoria. Innanzitutto il fatto che sarebbe stato quasi impossibile per Giuseppe, della casa di Davide, non trovare un luogo accogliente a Betlemme, città regale, dove Maria sua sposa avesse potuto partorire. Sarebbe stato impensabile che, bussando a qualsiasi porta e recitando la genealogia regale, non avesse trovato ospitalità per la notte. Questa manifesta incongruenza conduce a un secondo e più importante argomento esegetico. La parola usata da Luca per indicare la locanda in cui non c’era posto per la Sacra Famiglia è katáluma (da katá lúo) che significa sciogliere o slegare, cioè disarcionare i cavalli e slegare il proprio bagaglio, che quindi può alludere a un generico alloggio per uomini e bestiame. In effetti, alcuni autori, come Joseph Fitzmeyer SJ, in The Gospel according to Luke I-IX (1970), traducono katáluma con il termine generico di luogo ospitale (“lodge”), una sorta di caravanserraglio. Per Raymond E. Brown, nella sua opera The Birth of the Messiah (1977), Luca sembra più interessato a dire al suo pubblico dove Maria depose il bambino appena nato. Il fatto di ripetere per tre volte i dettagli relativi alle fasce e alla mangiatoia (cf. Lc 2,7.12.16) deve avere un significato notevole, soprattutto per il fatto che questa condizione unica si contrappone alla mancanza di spazio nell’alloggio. La menzione dell’alloggio è di secondaria importanza; non è il punto centrale, anche se per Brown, che conduce la sua ricerca con puro metodo storico-critico, “se la mangiatoia era antecedente a quella lucana nella tradizione, la mancanza di posto nell’alloggio può essere stata una vaga supposizione di Luca, per spiegare l’uso della mangiatoia”[1].  E se invece fosse il resoconto storico di ciò che è realmente accaduto? Perché escluderlo a priori? La tentazione di spiegare la nascita di Nostro Signore con i suoi vari elementi suggestivi come Midrash (interpretare o commentare una parola o un evento dell’Antico Testamento riprodotto nel Nuovo in virtù di una lettura teologica dell’evangelista, ma priva di alcun fondamento storico) è molto forte. Eppure, bisogna ricordare che la nascita di Nostro Signore, così come viene raccontata nei Vangeli, è unica nel suo genere. Ciò che Scott Hahn e Curtis Mitch dicono del Vangelo di Matteo può essere applicato anche a quello di Luca:

A differenza del midrash, la storia di Gesù dell’evangelista non si fonda su un testo dell’Antico Testamento. Mentre il midrash cerca di estrarre i significati più profondi dell’Antico Testamento, Matteo non cerca di interpretare l’Antico Testamento per se stesso. Più precisamente, Matteo non sta raccontando episodi dell’Antico Testamento, ma una storia completamente nuova! È una storia con nuovi personaggi ed eventi; è una storia che potrebbe stare in piedi da sola, a prescindere dalle sue citazioni dell’Antico Testamento. Matteo utilizza l’Antico Testamento per illuminare il significato della nascita di Gesù, non per determinarne in anticipo la trama e l’esito[2].

È vero, tuttavia, che quando Luca menziona una vera e propria “locanda”, nella parabola del buon samaritano che si prende cura di quell’uomo incappato tra i briganti (Lc 10,34), usa un altro termine, pandocheîon, che indica una locanda commerciale, dove generalmente venivano accolti viaggiatori e ospiti. Katáluma, più specificamente, è la parola che indica la “stanza superiore” dove Gesù celebra l’Ultima Cena con i suoi discepoli (Marco 14,14 e Luca 22,11; Matteo non menziona la stanza superiore). Si tratta chiaramente di una sala di ricevimento/stanza per ospiti in un’abitazione privata. La lettura di katáluma come “stanza degli ospiti” è qui preferita per il fatto che nel Vangelo di Luca due elementi già incontrati starebbero in contrapposizione tra loro: phátne e katáluma, potendo indicare quest’ultimo, ancora più genericamente, uno spazio in qualsiasi tipo di struttura. Quindi, la conclusione è che siccome non c’era posto nella stanza destinata agli ospiti, è molto probabile che Maria e Giuseppe siano stati ospitati nell’unica stanza destinata alla famiglia, che fungeva da soggiorno e da stanza da letto, dove c’era spazio anche per gli animali, sfamati in una o più mangiatoie incavate nel pavimento o costruite come elementi indipendenti. Maria avrebbe quindi partorito Gesù nel mezzo di una casa affollata, alla presenza di ospiti e familiari, anche se solo le donne, che fungevano anche da levatrici, erano ammesse al momento del parto. I pastori sarebbero arrivati e avrebbero trovato un’atmosfera familiare di festa, tale da poter annunciare subito la buona novella a tutte le persone lì riunite. Bailey conclude così le sue analisi:

I nostri presepi natalizi rimangono come sono perché “il bue e l’asino davanti a lui si inchinano, / ora che è nella mangiatoia”. Ma la mangiatoia era in una casa calda e accogliente, non in una stalla fredda e solitaria. Guardare la storia in questa luce elimina gli strati di mitologia interpretativa che si sono accumulati intorno ad essa. Gesù è nato in una semplice casa di villaggio con due stanze, come quella che il Medio Oriente conosce da almeno tremila anni. È vero, riscriviamo le nostre commedie natalizie, ma nel riscriverle la storia viene arricchita, non sminuita[3].

Alcuni principi della fede facilmente trascurati

In realtà, seguendo questa teoria, apparentemente convincente, che mira soprattutto a confortare Gesù e i santi Sposi liberandoli da una situazione di freddo isolamento come quello raffigurato dalla Tradizione, ci sono delle verità fondamentali della fede che rischiano di essere messe in discussione, quantunque in modo velato. Dovrebbe essere una preoccupazione per tutti i cristiani e non solo dei cattolici. Innanzitutto, chiediamoci, quale sarebbe il “segno” della nascita miracolosa del Messia, vero Dio e vero Uomo, se l’ambiente fosse quello di una normale abitazione, dove l’atmosfera di gioia e di festa promana dal festoso raduno di parenti e conoscenti venuti a Betlemme per il censimento più che per la nascita del Messia? Gesù sarebbe stato il protagonista del Natale in quella casa affollata? Il “segno” della sua nascita esprime il miracolo, deve essere trascendente e al tempo stesso comprensibile sia ai semplici che ai dotti, a tutti.

Il segno dato era “un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia” (cfr. Lc 2, 11). Una mangiatoia all’interno del soggiorno di casa rappresenterebbe piuttosto un luogo ordinario in cui venivano custoditi gli animali e non indicherebbe nulla di speciale, al di là del suo significato immediato e tangibile. Se gli abitanti di Betlemme erano così ospitali, perché non offrire a quel Bimbo anche un luogo più confortevole, un semplice cuscino su cui adagiarlo, piuttosto che un incavo nel pavimento? Ma ciò che più stride con il racconto evangelico è il fatto che quando i pastori arrivarono non trovarono una calca di gente, ma semplicemente coloro che sono con il Bimbo i protagonisti del mistero del Natale. “Vennero in fretta – annota il Vangelo – e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino adagiato nella mangiatoia” (Lc 2, 16). Solo tre persone e sicuramente avvolte da un silenzio adorante. In effetti, il silenzio e la solitudine favoriscono la presenza del mistero.

Inoltre, se i pastori si fossero presentati in un’abitazione privata nella città di Betlemme, sarebbero stati accolti, visto che la loro condizione sociale, dovuta alla loro professione impura, li escludeva dalla vita civile? A meno che non si sia tentati di escludere la storicità dell’arrivo dei pastori alla mangiatoia, bisogna anche ricordare che queste persone umili e reiette erano state inserite in una lista di persone non idonee a essere giudici o testimoni, poiché pascolavano le loro greggi su terreni altrui. Oltre a essere considerati impuri, erano anche etichettati come disonesti. Come si spiega, allora, da un lato la loro esclusione sociale e dall’altro la possibilità di essere accolti in un’abitazione privata? Di più, la loro attività di evangelizzazione, raccontando a tutti del bambino e facendo meravigliare le persone che ascoltavano il loro messaggio (cfr. Lc 2,17-18), inizia solo dopo l’incontro con Cristo e in virtù dell’ausilio efficace della sua grazia. Arrivarono, racconta il Vangelo, videro il segno preannunciato dall’Angelo e capirono la parola rivolta loro riguardante il bambino (cfr. Lc 2,17). Vedrebbero e capirebbero se quella stanza fosse stata occupata da estranei all’evento miracoloso? Cosa c’è di veramente speciale, inoltre, se tutte le persone a cui i pastori annunciarono la grande novella si trovavano già nella casa dove erano stati accolti Maria e Giuseppe? C’era bisogno di evangelizzare quella famiglia e gli ospiti, se erano già alla presenza della Sacra Famiglia?

Il punto focale, comunque, è il segno della mangiatoia, attraverso il quale anche l’ambiente circostante, in qualche modo, partecipa all’essere segno dell’unicità di quel Bimbo, il nato Messia. La singolarità di quella nascita doveva essere colta da elementi esteriori straordinari che alludevano a una realtà interiore, pronta e facile da leggere. Vedendo il segno e constatando la veridicità della parola dell’angelo, arrivarono subito alla conclusione: questo bambino è il Cristo Signore. Possiamo ben supporre che i pastori siano stati i primi a essere chiamati per il fatto che, in qualche modo, hanno vissuto la stessa condizione del Messia appena nato, quella degli anawim, a cui appartenevano Maria e Giuseppe. Erano anche le uniche persone sveglie nella notte a vegliare sulle loro greggi. Erano vigili nella notte di quel mondo e pronti, nella loro umiltà, alla venuta di Dio. Con semplicità e fiducia avevano accolto la parola dell’angelo e si erano messi in cammino verso il Salvatore appena nato. Il Vangelo dice così: “E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro” (Lc 2,17). La parola detta loro rimandava al segno e il segno ora rimanda alla parola e li rassicura, li fa credere. Parola e segno si uniscono nella carne assunta dal Logos ed esprimono l’unità sacramentale della realtà invisibile e visibile, nel sacramento per eccellenza: il Verbo incarnato.

Ma c’è un altro dato importante su cui riflettere, quello decisivo. Se la Madonna ha partorito in una normale abitazione, in un via vai di gente e con donne che la assistevano, la conclusione logica è che il parto non è verginale. Un contesto familiare ordinario evoca immediatamente un parto ordinario. Una condizione esterna del parto verginale richiede che esso sia avvolto dal silenzio, dalla privacy e dall’intimità della Madre con il Figlio. Anche la presenza di Giuseppe non è richiesta in quel momento solenne. La verginità in partu della Madre è una nascita miracolosa, straordinaria, del Figlio, di Colui che passa attraverso il grembo della Beata Vergine senza intaccarlo, senza rotture né doglie del parto. Quel momento prelude alla risurrezione di Gesù, quando il suo corpo glorioso passò attraverso il lenzuolo funebre, la sindone, lasciandola stesa lì dov’era, cosa che fu davvero sorprendente per Giovanni e Pietro. Giovanni vide questo segno e credette nella risurrezione (cfr. Gv 20,4-8); e prelude pure all’ingresso di Nostro Signore nel cenacolo, sempre dopo la sua risurrezione, passando attraverso una porta chiusa (cfr. Gv 20,19). Il modo in cui Gesù è venuto al mondo si riflette in questi ultimi momenti solenni della sua vita, intessuti da un’esperienza comune: il silenzio e la riservatezza da occhi profani. Il mistero è sacro, deve essere messo necessariamente al riparo dalla profanità, altrimenti viene facilmente negato. La nascita in un normale ambiente domestico, nonostante una testimonianza antica e costante, trasmette l’idea di un momento “normale” nella vita di Giuseppe e Maria, dove, in realtà, il mistero è oscurato dal rumore e dalla profanità della vita. L’ipotesi di un “soggiorno” quale luogo di nascita di Gesù sembra favorire l’idea di un Natale gioioso, senza isolamento e tristezza vissuti dal Bambino Gesù, immerso piuttosto in un’atmosfera di festa. Eppure tutto ciò sembra rovinare, accanto agli stessi principi della fede, anche il significato stesso della gioia e perciò della festa.

La gioia promana dalla natività di Cristo, dal factum della sua nascita e non dalla situazione esterna di un ambiente accogliente e familiare. È il parto verginale di Maria, privo di dolore, eloquentemente gioioso, ad annunciare una gioia senza pari da trasmettere al mondo. I pastori sono stati i primi a farsi messaggeri di questa gioia perché l’hanno sperimentata loro stessi: una gioia che andava oltre le aspettative umane. Tutti coloro che ascoltavano gli umili pastori parlare del bambino si meravigliavano della buona novella diffusa in ogni dove: era nato il Cristo Signore. E Maria, la Madre di Gesù, colei che era pienamente consapevole del mistero verginale dell’Incarnazione e della nascita dell’Emmanuele, “conservava tutte queste parole, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Maria conserva le parole dei pastori, la loro fede nel mistero dell’incarnazione di Dio quale eco della parola del messaggero celeste. Il suo Cuore Immacolato custodiva le primizie di quella fede: è il luogo santo dove sono custoditi tutti i misteri della fede e la meraviglia dei primi credenti. Infine, un ultimo argomento per rifiutare l’ipotesi di un soggiorno familiare per la nascita di Gesù viene offerto proprio da questo atteggiamento interiore e altamente spirituale di Maria nel meditare quelle parole. Da ciò viene veicolata ancora una volta l’idea di un’atmosfera di raccoglimento, di silenzio e solitudine che avvolgeva la nascita di quel Bimbo. Solo Maria era con il Bambino nel momento mirabile della sua venuta al mondo, e pertanto il Bambino è con Maria. Madre e Figlio, Figlio e Madre, sono una cosa sola e rimangono in quell’unione che è tutta verginale.

Il Bambino con Maria sua Madre

Per convincersi di questa unione verginale tra il Bambino e sua Madre, a cui deve necessariamente fare eco un ambiente esterno adeguato, si può fare riferimento anche al Vangelo di Matteo. Qui, la verginità di Maria, funge da filo d’oro che unisce in modo speciale il Figlio con la Madre. Matteo, al capitolo 2, ripete cinque volte la stessa espressione, e cioè che il Bambino Gesù è con Maria sua Madre. Analizziamo queste espressioni che molto significativamente sembrano ripetere una “formula liturgica”. Il contesto è quello della visita dei Magi e della fuga in Egitto, seguita dal ritorno della Sacra Famiglia a Nazaret.

2,11: Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono.

2,13: Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto».

2:14 Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto,

2:20: Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele;

2:21: Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele.

È chiaro che il Bambino è indissolubilmente unito a Maria sua madre e che questo legame non può che essere la perpetua verginità di Maria. Gesù è l’unico Figlio di Maria, senza un padre, come è l’unico Figlio del Padre dei cieli, senza una madre, vero Dio e vero Uomo. Possiamo riassumere il tutto con il famoso motto di San Luigi Maria Grignion de Montfort: ad Jesum per Mariam. Nel silenzio della verginità di Maria, nella sua riservatezza divina, troviamo la vera culla della santa nascita di Gesù, che necessariamente riflette e modella quella materiale: l’austera grotta della nascita del Divin Pargoletto. O il mistero è un’unità di segno e realtà o semplicemente non è.

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[1] R.E.Brown, The Birth of the Messiah. A Commentary on the infancy narratives in Matthew and Luke (London: Geoffrey Chapman, 1977) Reprinted 1978, 419 (traduzione nostra).

[2] S. Hahn-C. Mitch, Ignatius Catholic Study Bible. The New Testament (San Francisco: Ignatius Press, 2010) 10 (traduzione nostra).

[3] K. Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes. Cultural Studies in the Gospel (Downers Grove: IVP Academic, 2008) 36 (traduzione nostra).