Perché si ripropongono oggi i falsi argomenti teologico-morali contro le norme stabilite dall'Humanae Vitae

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di Mons. Antonio LiviAnno XIII. 1-2018 – sez. Theologica – p. 101-119

In questi ultimi tempi si sono susseguite, a tutti i livelli, proposte teologico-morali di revisione delle norme sulla contraccezione, stabilite nel 1968 da papa Paolo VI con l’enciclica Humanae vitae. La natura più ideologica che scientifica di tali proposte si scopre facilmente alla luce di eventi ecclesiali oramai ben evidentia tutti, anche se solo pochi (tra questi io stesso) hanno il coraggio di denunciarli come quello che essi rappresentano, ossia l’eresia al potere. Ne faccio brevemente cenno adesso, prima di affrontare il tema centrale di questo mio articolo.

Le contraddizioni logiche di una teologia morale che presenta le proprie tesi come “rivoluzione scientifica” e al contempo come “evoluzione omogenea”.

A seguito dell’esortazione apostolica Amoris laetitia, i teologi moralisti si sono sentiti autorizzati a trattare i testi del Magistero come documenti della prevalenza ora di una ora di un’altra scuola teologica, il che comporta un atteggiamento di approvazione e consenso (nel caso che la scuola teologica adottata sia la propria) oppure di critica e di contestazione (nel caso che la scuola teologica adottata sia invece una di quelle da essi considerate “preconciliari”). Si deve proprio a questo atteggiamento – che implica una scorretta ermeneutica del Magistero – il passaggio di molti teologi moralisti di indirizzo “progressista” dai commenti entusiasti della esortazione apostolica Amoris laetitia a una revisione criticadell’enciclica Humanae vitae. Il passaggio ha – da un punto di vista rigorosamente logico – il carattere di una tale irrazionalità che quei teologi devono ricorrere ai più complicati sofismi dialettici per tentare di nasconderla. E infatti è irrimediabilmente irrazionale il voler magnificare i progressi registrati, a loro dire, dall’adozione del «nuovo paradigma» teologico-morale da parte di papa Bergoglio con la Amoris laetitia, e poi pretendere di applicare questo stesso «nuovo paradigma» al testo dell’Humanae vitae pensando di poterlo così “rileggere”, ossia “riformarlo” a mezzo secolo di distanza dalla sua pubblicazione da parte di Paolo VI. II primo teologo che ha difeso pubblicamente questa operazione insensata è stato il domenicano Christoph Schönborn, attualmente arcivescovo di Vienna e cardinale; in una serie di interviste concesse alla stampa. Dopo la presentazione in Vaticano della Amoris laetitia, egli ha affermato la continuità di questo documento con tutta la Tradizione: l’Amoris laetitia si deve certamente leggere alla luce del magistero precedente, ma anche il magistero precedente si deve leggere alla luce dell’Amoris laetitia; questa assurda ermeneutica con effetto retroattivo vien spacciata come un caso di evoluzione omogenea del dogma[1]. Non ci si rende conto, così parlando, che il concetto di “evoluzione” implica quella che i fisici chiamano «the arrow of time», ossia l’irreversibilità nel tempo dei processi di miglioramento qualitativo, che vanno dal passato al presente e dal presente al futuro, mai dal presente al passato. D’altra parte, l’utilizzo di una categoria epistemologica come quella di «nuovo paradigma» comporta l’accettazione della teoria epistemologica di chi l’ha coniata, ossia l’americano Thomas Kuhn, il quale sosteneva che non c’è continuità o «processo di accumulo» nella storia delle «rivoluzioni scientifiche», ma discontinuità assoluta proprio in base all’assunzione di nuovi paradigmi interpretativi delle dinamiche dei corpi fisici: questo «paradigm schift» rende incommensurabili i diversi sistemi che si succedono nel tempo, sicché nulla autorizza a considerare un determinato sistema più conforme ai tempi o più “avanzato” dei precedenti[2].

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