La “conversione pastorale” e il progressismo cattolico

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di Stefano MontanaAnno XIV. 1-2019 – sez. Theologica – p. 161-174

Tema di estrema attualità è quello presentato dall’Autore: il rapporto tra dottrina e pastorale, un rapporto tra due elementi nel quale, invece di mantenere i giusti ruoli all’interno dell’edificio spirituale della Chiesa, questi pian piano sono stati invertiti, al punto che la pastorale ha preso il sopravvento sulla dottrina. Da ciò ne consegue un capovolgimento globale di altre discipline necessarie al corretto esercizio della fede. La «sostituzione della metafisica con l’ermeneutica, dell’essenza con l’esistenza, della legge con la coscienza, della norma con la situazione, dell’oggetto col soggetto, della teoria con la prassi». In definitiva, la “conversione pastorale”, secondo l’Autore, non è altro che «l’evoluzione del concetto di rivoluzione», che è contrario all’ordine e dunque al fondamento di ogni ordine che è Dio.

Con il Concilio Vaticano II la Chiesa pensò di fare una “scelta pastorale”, ritenendo – e la cosa non cessa di stupire – che il processo si fermasse lì[1]. Dalla scelta pastorale si è poi arrivati alla “conversione pastorale”, confermata da papa Francesco nell’Esortazione Evangelii gaudium[2], conclusione questa già potenzialmente contenuta nella “scelta pastorale” ma non ancora in essa radicalizzata. Per la “scelta pastorale” era ancora possibile parlare di “sfide pastorali” perché non si era ancora negata formalmente la priorità della dottrina sulla pastorale. Le sfide, interpellando la dottrina e chiedendo alla dottrina risposte, in qualche modo ancora ne sancivano il primato. La “conversione pastorale”[3], invece, è altra cosa, supera la Teologia della pastorale e transita nella Teologia pastorale, dapprima pone la pastorale sullo stesso piano della dottrina per poi assegnare alla pastorale il primato sulla dottrina o, per meglio dire, trasformando la pastorale in dottrina. Per questo il passaggio della scelta pastorale alla conversione pastorale era inevitabile e per questo il Concilio non fu, come voleva essere, una risposta alle sfide pastorali ma iniziò il percorso che avrebbe condotto al primato dalla pastorale sulla dottrina, camuffato spesso con la tesi della loro circolarità[4].

“Conversione pastorale” significa l’emancipazione della prassi pastorale dalla dipendenza della dottrina spinta fino alla partecipazione della prassi pastorale alla costruzione stessa della dottrina. Anche quella dell’emancipazione della prassi pastorale dalla dottrina è una dottrina che viene costruita a partire dalla prassi e mediante la prassi. Oggi è ritenuto normale cambiare la dottrina non con pronunciamenti dottrinali ma con forme di prassi che implicano cambiamenti dottrinali. Ormai, di documenti dottrinali non se ne fanno nemmeno più e le “scomuniche” non avvengono più per motivi dottrinali ma pastorali. La scelta pastorale comporta quindi due conseguenze, una passiva e l’altra attiva: l’emancipazione della pastorale dalla dottrina e la sua partecipazione al cambiamento della dottrina per via pratica.

Una delle conseguenze maggiormente evidenti oggi di questa sostituzione della dottrina con la pastorale è la sostituzione del come al cosa. Sul piano generale ciò significa la sostituzione della metafisica con l’ermeneutica, dell’essenza con l’esistenza, della legge con la coscienza, della norma con la situazione, dell’oggetto col soggetto, della teoria con la prassi. Sul piano empirico della prassi ecclesiale la cosa si rende evidente negli appelli del Magistero all’accoglienza, alla partecipazione, al coinvolgimento, all’integrazione, al dialogo, alla condivisione, al con-venire, al “ricucire”, all’incontro… senza che questi atteggiamenti siano riempiti di qualche contenuto che, secondo la Teologia della “conversione pastorale”, dovrebbe emergere dagli atteggiamenti stessi. È un modo per dire che la Chiesa è mondo ed è (completamente) storia.

Degno di nota è il progressivo scivolamento dal cosa al come del concetto di sinodalità, oggi proposto come metodo di riforma della Chiesa, come modo di presenza avente la caratteristica dell’incontro[5]. Metodo, modo e incontro sono concetti privi di contenuto, a meno di non assegnare alla prassi un significato di contenuto. La prevalenza della sinodalità come prassi sulla sinodalità come contenuto spiega l’ingresso nella Chiesa della logica della democrazia propria della società civile:

«Resta innegabile che lo spirito democratico ha contribuito a far maturare anche nella Chiesa il senso della partecipazione, la consapevolezza che tutti debbano contribuire ai processi decisionali, il desiderio di responsabilità nei confronti di ciò che riguarda tutti»[6].

Anche i concetti di partecipazione e di condivisione dei processi decisionali qui richiamati sono privi di contenuto e dimostrano l’ingresso nella Chiesa non solo della democrazia in generale ma in particolare della democrazia procedurale, da sempre condannata dal Magistero.

​Sul concetto di rivoluzione

La “conversione pastorale”, è da vedersi come l’evoluzione del concetto di rivoluzione, transitato in seguito nel progressismo cattolico e diventato ordinario e quotidiano stravolgimento del rapporto tra prassi pastorale e dottrina. Vediamo questi passaggi.

La rivoluzione comporta la distruzione di un ordine nel desiderio di riplasmarlo in un nuovo ordine che pure sarà distrutto per essere riplasmato. Nella rivoluzione c’è un elemento che le impedisce di fermarsi a un qualche ordine nuovo, ma la obbliga a distruggere qualsiasi ordine. La rivoluzione infatti non è contraria a questo ordine, ma all’ordine. Per esempio il rifiuto della natura umana in voga oggi non è rifiuto di un certo ordine antropologico, ma dell’ordine antropologico in quanto tale, non solo in quanto antropologico ma in quanto ordine. Per questo la rivoluzione, combattendo l’ordine, combatte sempre anche il fondamento di ogni ordine, ossia Dio. Dostoevskij ne I demoni lo aveva ben spiegato.

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[1]Cf S. Fontana, Il Concilio restituito alla Chiesa. Dieci domande sul Vaticano II, La Fontana di Siloe, Torino 2014.
[2]Cf Francesco, Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 32.
[3]Se ne veda la definizione teologica in G. Angelini, Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia, in Teologia XXXIX (4/2014) 493-507, soprattutto le pp. 495-496.
[4]Cf F. G. Brambilla, Istanze pastorali della Chiesa di oggi e i compiti della teologia, in Teologia XLIII (1/2018) 3-17.
[5]Cf ivi, p. 13.
[6]G. Canobbio, Sulla Sinodalità, in Teologia XLI (1/2016) 261.

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