«Oportet enim Illum regnare» (1Cor 15,25).
La regalità sociale di Cristo

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di Padre Serafino LanzettaAnno XV. 1-2020 – sez. Theologica – p. 111-134

1. INTRODUZIONE

Il fondamento teologico del concetto di “cristianità” – l’unità nella distinzione di fede e ragione, di natura e grazia – trova il suo ultimo fondamento nella regalità di Cristo che a sua volta è radicata nel mistero dell’Unione ipostatica del Verbo fatto carne: unità nella distinzione di divinità e umanità, senza confusione né separazione. Possiamo subito dire con san Cirillo d’Alessandria che Cristo «ottiene […] la potestà su tutte le creature, non carpita con la violenza né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza»1, cioè un principato fondato sull’unione della natura umana con la natura divina nell’unica persona del Verbo.

La regalità di Cristo illumina la potestà del Signore Gesù sulla Chiesa, suo mistico Corpo, lavata con il suo Sangue e sull’intero cosmo, cioè su tutta la creazione, perché tutto è sottoposto a Lui che è prima di tutte le cose; tutto è fatto per mezzo di Lui e in vista di Lui. Cristo detiene il primato su tutto: un primato spirituale e temporale, di grazia e di eccellenza esemplare sulle cose create. Perciò la sua regalità è non solo soprannaturale ma anche universale e sociale. Il tutto ben si compendia nel potere regale universale di Cristo, in cui confluiscono umanità e divinità, natura e grazia, dimensione temporale e spirituale.

La regalità sociale di Cristo è un tema piuttosto recente nello sviluppo magisteriale e teologico, eppure i suoi fondamenti sono antichi e vanno ravvisati nella Sacra Scrittura e nello sviluppo della Traditio fidei da cui hanno attinto i teologi e non ultimo il Magistero. Pio XI, nell’Anno Santo della Redenzione, volle istituire la festa liturgica di Cristo Re con la Lettera Enciclica Quas primas dell’11 dicembre 1925, a coronamento dell’anno giubilare, ordinando poi che nel medesimo giorno si rinnovasse la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù, fatta per la prima volta da Leone XIII durante l’Anno Santo del 1900 e da san Pio X comandata che si rinnovasse annualmente.

Il primo e più importante luogo teologico nello sviluppo della Traditio in cui compare la fede della Chiesa in Cristo Re è il Simbolo niceno-costantinopolitano. A Nicea nel 325 si inserì nel Credo la formula «il cui regno non avrà mai fine», proclamando così la dignità regale di Cristo e dando l’ultimo colpo di grazia all’eresia ariana. Cristo regna per sempre, quindi è re sempiterno e perciò ha un regno.

Un ruolo importante nello sviluppo della dottrina della regalità sociale di Cristo ebbero le rivelazioni del Sacro Cuore di Gesù a santa Margherita M. Alacoque, culminanti nella richiesta riparatrice dei primi nove venerdì del mese. Così la venerazione e l’adorazione del Cuore di Nostro Signore divenendo pubbliche poterono contrastare la freddezza e il rigorismo del Giansenismo.

È stato giustamente scritto che «la regalità sociale del Sacro Cuore è stata il punto culminante delle rivelazioni di Santa Margherita Maria»2, in particolare per la richiesta rivolta a Luigi XIV di consacrazione della Francia al Sacro Cuore di Gesù.

Diversi anni dopo, una religiosa tedesca, la beata Maria Droste zu Vischering (Münster 1863 – Oporto 1899), scrisse più volte a Leone XIII chiedendogli la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù; consacrazione che avvenne un anno dopo la morte della beata Maria del divin Cuore di Gesù, nome che la nostra Beata aveva preso in religione tra le suore di Nostra Signora della carità e del Buon Pastore. La consacrazione al Cuore di Gesù richiesta dalla nostra Beata fu poi una provvidenziale preparazione alle apparizioni della Madonna a Fatima con la richiesta della consacrazione al suo Cuore Immacolato3.

Ancor prima delle rivelazioni private del Sacro Cuore, va annoverato tra i fattori di sviluppo della regalità sociale di Cristo il culto eucaristico e soprattutto la solennità del Corpus Domini con la processione solenne del Santissimo Sacramento, estesa da Urbano IV a tutta la Chiesa con la Bolla Transiturus dell’11 agosto 1264, un anno dopo il miracolo eucaristico di Bolsena.

Il principale teologo della regalità sociale di Cristo, innestata sulla devozione al Sacro Cuore, è stato il gesuita francese, padre Henri Ramière (1821-1884), direttore della rivista Messager du Cœur de Jésus e professore di Filosofia del Diritto all’Università Cattolica di Tolosa. Nella sua opera Les espérances de l’Église (Parigi 1861), il padre Ramière argomenta che il regno di Gesù Cristo deve essere stabilito nel mondo per mezzo della Chiesa.

Un altro attore intrepido e più divulgativo di questa dottrina fu il prelato francese Louis-Édouard-François-Desiré Pie (1815-1880), vescovo di Poitiers, elevato alla porpora cardinalizia da Leone XIII per i suoi meriti teologici e pastorali. Fu il grande apostolo della regalità di Cristo con i suoi sermoni intrisi di dottrina e di zelo per le anime. Diversi papi lo hanno lodato. Basti ricordare Pio IX che gli scrive nel 1875 in occasione della pubblicazione delle sue opere; Leone XIII e Pio X, il quale amava leggere quasi giornalmente qualche brano da lui composto ritenendolo suo maestro. Infatti, il motto pontificio di papa Sarto – «instaurare omnia in Christo» – era stato scelto dal card. Pie come suo motto episcopale. Il card. Gasparri, scrivendo a nome di Benedetto XV al canonico Vigué per ringraziarlo della sua pubblicazione dal titolo Pages choisies du Cardinal Pie, loda lo scritto evidenziando che in esso il vescovo di Poitiers appare nel suo ruolo di Dottore con eloquenza e autorità, mostrandosi «avversario irriducibile del naturalismo, del liberalismo e delle insidie rimanenti del gallicanesimo. Nulla espone con più chiarezza contro le diverse forme di naturalismo, l’obbligo primordiale che incombe su ogni uomo di aderire alla Rivelazione soprannaturale e nulla difende con più splendore contro il liberalismo i diritti imprescrittibili di Dio e della Chiesa nell’organizzazione della società»4.

2. CRISTO È RE

Per poter studiare ora il nostro tema della regalità di Cristo e il suo risvolto universale, dobbiamo partire dal dato che Cristo è re sia perché si autoproclama tale sia perché viene riconosciuto come tale. La sua regalità è già preparata nell’AT.

I profeti vi fanno allusione ripetutamente con i loro oracoli. Isaia (9,5-6) in un oracolo messianico dice:

«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre».

Gli altri profeti faranno eco a questo testo. Geremia (23,5) predice la nascita del «germoglio giusto» da Davide «che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra». Poi Daniele (2,44) che annuncia da parte del Dio del cielo la costituzione di un «regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo». Questo regno non è quello dei re vissuti fino ad allora, ma deve essere visto alla luce della profezia sul Figlio dell’uomo. Nelle visioni notturne, Daniele (7,13-14) vide

«venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto».

Gesù stesso si identificherà con questo Figlio dell’uomo ripetute volte (cf ad es. Mt 13,41; Mc 13,26; Gv 3,13; 5,27). In Matteo (25,31-32), Gesù unisce e attribuisce a sé il titolo di «Figlio dell’uomo» con il «trono della sua gloria», sul quale siederà per giudicare i vivi e i morti: davanti a Cristo saranno «radunati tutti i popoli».

Accanto a queste profezie regali bisogna annoverare anche l’oracolo del profeta Natan a Davide (cf 1Cr 17,14; 2Sam 7,14). Davide avrebbe voluto edificare una casa al Signore perché l’Arca dell’Alleanza abitava sotto una tenda mentre lui in una casa di cedro. Natan però fa sapere a Davide che non sarà lui a costruirgli una casa, ma un suo discendente dopo di lui a cui il Signore renderà stabile il regno. Dice l’oracolo: «Egli mi edificherà una casa e io renderò stabile il suo trono per sempre. […] Io lo renderò degno di fede nella mia casa, nel mio regno» (1Cr 17,12.14 LXX). La Lettera agli Ebrei (2,17; 3,2-3) parlando di Gesù Sommo Sacerdote «misericordioso e degno di fede» si riferirà proprio a questo oracolo di Natan, letto secondo la LXX, e lo applicherà a Cristo. Egli è il vero costruttore del tempio di Dio. Anzi, Egli è il vero tempio ricostruito in tre giorni nel sacrificio della sua Passione, Morte e Risurrezione (cf Gv 2,19), dove si adora il Padre in spirito e verità (cf Gv 4,23). Questo nuovo tempio costruito dal Figlio è la Chiesa, suo mistico Corpo e prolungamento salvifico nel tempo del suo corpo fisico. L’arcangelo Gabriele nell’annuncio a Maria svelerà il compimento cristologico dell’oracolo di Natan: «Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32-33).

La vita del Signore Gesù si dipana tra due momenti centrali nei quali si rivela apertamente la sua regalità.

Il primo è alla sua nascita con l’adorazione dei Magi. Questi sapienti venuti da Oriente s’interrogano sulla nascita del re che sono venuti ad adorare: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?» (Mt 2,2). Non lo trovano nella reggia di Erode, tra i potenti del mondo, ma in una semplice casa, in uno scenario umile ma solenne: il Bambino, il Re, è in braccio a Maria sua madre, come sul suo trono regale. Si prostrarono e lo adorarono (cf Mt 2,11). Quel che succede nel cuore e nella vita di questi sapienti venuti da lontano, nel momento in cui vedono il Bambino, lo riconoscono e lo adorano, è proprio ciò che cambia anche in noi il modo di considerare la regalità di Cristo. Non un potere umano, ma il “potere” di un Bambino che è Dio: Dio si è fatto uomo e abita con noi. Il suo potere è la sua umiltà che regna confondendo i superbi e offrendo una luce nuova a chi vuole davvero vedere e così trovare definitivamente la “Luce della vita”.

Questa regalità riconosciuta e adorata nel silenzio dai Magi, i quali inaugureranno una solenne processione di tutti gli uomini di buona volontà che verranno e adoreranno il Re-Messia, sarà poi pubblicamente palesata da Gesù dinanzi a Pilato e poi sarà mostrata a tutti sulla Croce nell’iscrizione che indicava il motivo della condanna del Nazareno. Pilato non è umile come i Magi, non è veramente sapiente. È un uomo politico, che cerca di conservare la sua poltrona, ma a discapito della verità. E così chiede al Signore: «Sei tu il re dei Giudei?» (Gv 18,33). Gesù, che nella sua predicazione aveva rifiutato che lo incoronassero re (cf Gv 6,15), per non dar adito a una sbagliata interpretazione della sua vera regalità, ora invece la professa apertamente. Affermando che il suo regno non appartiene a questa creazione (quanto alla sua origine), ma è semplicemente lo stesso atto del regnare di Colui che è il Creatore di tutte le cose, di Colui che sta in alto, Gesù dice a Pilato: «Tu lo dici; io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,37). Il regno di Cristo è il regno della verità. Qui già intravediamo che il regno di Cristo abbraccia tutto, tutto ciò che è vero; viene da Dio ed è il governo di Dio sulle cose di questo mondo.

Questa confessione di Cristo davanti a Pilato (come la confessione di tanti martiri nei secoli e ancora oggi) gli costerà molto cara. Gli uomini, come Pilato, preferiscono ignorare la verità, la negano, e così pensano di sbarazzarsi del regno di Cristo consegnandolo alla Croce.

Invece, proprio perché la verità fosse liberata definitivamente dalle insidie dell’ingiustizia e del sopruso, Gesù Cristo muore in Croce. È appeso a quel duro legno, ma è anche innalzato, così che può attirare tutti a sé (cf Gv 12,32), sotto l’unico vero potere che salva: il potere dell’amore che versa lacrime di sangue per riscattarci dal peccato e dalla morte eterna. Il potere regale della verità è il potere dell’amore che ci salva, che ci porta in un nuovo spazio salvifico, dove, chi vive nella verità di Cristo, impera sul vero nemico dell’uomo, il peccato.

La Croce diviene così l’innalzamento del Figlio, il trono regale dell’Agnello di Dio. Il vero Pastore si è fatto sgozzare, rimanendo muto davanti ai suoi aguzzini. Cristo dall’alto della Croce apre le braccia. La sua regalità è, così, una porta spalancata nel suo Cuore, dove ci accoglie e ci mette al sicuro da ogni altro potere iniquo che rigetta la verità e sceglie perciò la menzogna. La regalità di Cristo ora dal trono della Croce appare nella sua universalità. Pilato comanda di scrivere chi è quel Gesù, in tutte le lingue conosciute: ebraico, greco e latino. Tutto il mondo doveva riconoscerlo. Pilato non potrà più cambiare – «quod scripsi scripsi» (Gv 19,22) – ciò che era già scritto in cielo, come dirà Bossuet, invitando tutti, in questo triplice linguaggio, a flettere le ginocchia davanti a Cristo Re. Per questo suo abbassamento fino ad esinanirsi, a svuotarsi del potere della sua divinità divenendo uomo e sommo sacrificio della nostra salvezza, il Padre lo ha esaltato e gli ha dato un nome nuovo al di sopra di ogni altro, perché nel suo nome «ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra» (Fil 2,10).

Il suo abbassamento, che dicevamo è stato cambiato nell’esaltazione di Cristo sopra tutte le cose, ha fatto sì che il Signore Gesù ricevesse in eredità «ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18). Questo potere è l’exousía (reso con potestas dal latino) del Figlio di Dio, il quale prima di ascendere al cielo la consegnerà quale triplice potestas di santificare, reggere e governare ai suoi Apostoli (cf Mt 28,19-20) perché fossero prolungamento sacramentale nel tempo dello stesso Salvatore. Quest’autorità universale del Signore, significata e racchiusa nell’espressione «in cielo e sulla terra», abbraccia tutto ciò che è e mette in luce che Gesù esercita un dominio messianico cosmico in modo tale da condurre tutti gli eletti nel suo regno di salvezza5.

LEGGI TUTTO

[1] San ciRillo alessandRino, In Lucam, 10, citato dalla Quas primas.
[2] Cf padre t. de saint-Just, La Royaté Sociale de N.-S. Jésus-Christ d’apres le Cardinal Pie, G. Beauchesne, Parigi 1925, p. 17, nt. 1. Qui, dice l’autore che il regno del Sacro Cuore e il regno di Gesù Cristo sono la medesima cosa. Tuttavia l’espressione “regno sociale del Sacro Cuore” chiarisce meglio che il regno di Gesù Cristo è un regno d’amore e che richiede amore. Sulla questione della richiesta di consacrazione della Francia al Cuore di Gesù, l’autore rimanda a J. V. Bainvel, La dévotion au Sacré-Cœur, doctrine, histoire, G. Beauchesne, Paris 1921; B. gaudeau, La Mission actuelle de Sainte Marguerite-Marie. Le Sacré-Cœur de Jésus remède au laïcisme contemporain, Paris 1922 (Collection: Dieu à sa place, 1).
[3] Cf C. Bisang, Devota al Sacro Cuore. La beata Maria Droste zu Vischering preparatrice del messaggio di Fatima, Fede&Cultura, Verona 2017. Si veda pure, ideM, Die Selige Maria Droste zu Vischering als Wegbereiterin der Botschaft von Fatima, in M. hauKe (a cura di), Fatima – 100 Jahre danach. Geschichte, Botschaft, Relevanz, F. Pustet, Ratisbona 2017 (Mariologische Studien, XXV), pp. 41-61. Bisogna annoverare anche un’altra importante figura tra gli attori della consacrazione al Cuore di Gesù in relazione alla regalità di Cristo, la mistica polacca e serva di Dio Rozalia Celak (1901-1944). Fu un’interlocutrice privilegiata del Sacro Cuore dal quale ricevette la missione di diffondere la regalità sociale di Cristo, facendosi promotrice infaticabile dell’intronizzazione di Cristo in Polonia e in altri stati, i quali solo in questo modo sarebbero sopravvissuti ad un imminente flagello. Le sue opere sono in polacco. Un sito in lingua inglese presenta una sua biografia e stralci dei suoi scritti: www. rozalia.krakow.pl/en/-about_rc.htm
[4] Padre t. de saint-Just, La Royauté Sociale de N.-S. Jésus-Christ d’après le Cardinal Pie, p. 21.
[5] Cf Authority, in New Bible Dictionary, Leicester 19963.

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