Metafisica secondo la scuola francescana - Seconda parte

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di Padre Alessandro M. Apollonio, – Anno XVIII. 2-2023 – sez. Philosophica – p. 99-182

In questa seconda parte della metafisica del beato Giovanni Duns Scoto, l’Autore ci guida dapprima in una riflessione sulle proprietà dell’ente o trascendentali: l’unità, la verità e la bontà (a cui i neoscolastici aggiungono anche la bellezza). Per il Dottor Sottile, mentre l’unità è una formalità positiva aggiunta all’ente, la verità e la bontà, pur essendo realmente identiche all’ente come tale (come del resto l’unità), non sono formalmente identiche ad esso in quanto sono quasi passioni dell’ente. Un’ampia disamina è poi dedicata alle proprietà trascendentali complesse (identità e distinzione, atto e potenza, necessità e contingenza). Qui una menzione speciale va fatta per la “distinzione formale”, un proprium scotista. Essa riguarda entità minime, concepibili in uno stesso ente completo e realmente indivisibile. Per esempio le parti metafisiche, ossia il genere e la differenza specifica, proprietà intrinseche dell’ente. Tali entità minime si dicono formalità, con un termine diminutivo derivato dalla forma. Dall’animalità e dalla razionalità l’uomo è detto “animale razionale”. La distinzione tra queste entità formali è detta distinzione formale a parte rei.

  1. LE PROPRIETA DELL’ENTE

Le proprietà dell’ente sono di due ordini: 1) incomplesse e semplici, che sono espresse con un unico vocabolo; 2) complesse e composte. Al primo ordine appartengono l’unità, la verità e la bontà1, che convengono tutte a tutti gli enti. Scoto le chiama passioni convertibili. Al secondo ordine appartengono: identità-distinzione; necessità-contingenza; atto-potenza. Una o l’altra appartengono a tutti gli enti. Scoto le chiama passioni, o trascendentali, disgiuntive.

1.1. Le proprietà semplici dell’ente

Tutte le proprietà semplici hanno origine immediatamente dall’ente, ma hanno tra di loro un ordine: prima l’unità, poi la verità, poi la bontà. Poiché i termini assoluti sono anteriori ai relativi, e tra i relativi quelli che sono in relazione all’intelletto vengono prima di quelli relativi alla volontà, perciò l’unità è la prima proprietà, perché è assoluta, seguita dalla verità che dice rapporto all’intelletto, e infine la bontà che è relativa alla volontà. Così insegna Alessandro di Hales (1, 13, 2) e dà tre motivazioni.

1) In sé: ogni cosa è indivisa in se stessa, e così è una; è distinta dalle altre cose, e così è vera, perché “il vero è ciò per cui alla cosa compete di esser distinta dalle altre cose”; è ordinata secondo la convenienza che ha con le altre cose, e così è buona.

2) In relazione alla causa divina: in quanto la cosa è relativa a Dio causa efficiente, è una; in quanto causa esemplare, è vera; in quanto causa finale, è buona.

3) In rapporto all’anima: la cosa è una in rapporto alla memoria; vera in rapporto all’intelletto; buona in rapporto alla volontà.

1.1.1. L’unità dell’ente

C’è una triplice unità dell’ente. 1) Trascendentale, per la quale ogni ente2 è indiviso in se stesso. 2) Formale, per la quale le nature comuni, nei loro molti inferiori (ai quali si comunicano, come a parti soggettive), sono intrinsecamente indivise. 3) Individuale, per la quale le singole cose sono indivisibili in più inferiori (perché sono incomunicabili, ossia, non hanno parti soggettive). La prima unità compete ad ogni ente, la seconda ad ogni natura comune, la terza ad ogni natura singolare. Dell’unità formale e individuale si parla in logica. Qui parliamo dell’unità trascendentale.

1.1.1.1 L’unità trascendentale

In Met., l. III, c. 76, Scoto dice che l’uno trascendentale può esser inteso in due modi: 1) è proprietà dell’ente convertibile con esso; 2) è il principio del numero. Il primo conviene a ogni ente, il secondo conviene propriamente solo agli individui. In metafisica si parla della prima unità, non della seconda.

Nota bene. L’unità trascendentale comporta una duplice negazione di divisione. La prima nega la divisione dell’ente in se stesso. La seconda nega la divisione da se stesso, ossia nega la comunicazione di sé ad altri. La prima è detta indivisione in sé; la seconda è detta divisione da ogni altro, ossia, non-identità con l’altro. La prima esclude dall’ente la pluralità di parti essenziali, essendo semplicissimo; la seconda esclude dallo stesso ente il non ente, e tutto ciò che sia pensabile che non sia formalmente ente, come dice Scoto in Met., l. IV, c. 15.

1.1.1.2 Conclusione I

L’unità trascendentale è l’indivisione dell’ente da se stesso e la divisione dello stesso ente da qualsiasi altra cosa. Prova. È legittima quella descrizione dell’unità per la quale all’ente in quanto ente, e a tutti i suoi inferiori, gli compete di essere uno; ma tutto ciò che è indiviso da se stesso e diviso da ogni altro, è un ente, e quanto non è così indiviso e diviso, non è uno. Dunque.

Nota bene 1. È indiviso in sé ciò che include l’unione delle sue parti, e così Pietro è detto un uomo; oppure ciò che include l’identità di più formalità, e così Dio è detto uno; oppure l’indivisibilità del suo concetto, e così l’ente è detto uno, perché è un concetto semplicemente semplice, irrisolvibile in più concetti dai quali è composto. Il concetto di ente, infatti, non ha alcun principio reale, come è stato detto.

Se si dicesse che il concetto di ente contiene tutti i suoi inferiori, bisogna fare una distinzione: l’ente contiene i suoi inferiori secondo potestà3, perché è superiore4 ad essi; ma non li contiene in atto, quasi che sia composto da essi. Con l’aggettivo “indiviso” è escluso il contenere molteplici parti attualmente [divise], non il contenerle potenzialmente [divise]5.

Nota bene 2. L’espressione “diviso da ogni altro” non appartiene essenzialmente all’unità trascendentale, e nemmeno è necessaria per la sua spiegazione. È aggiunta solo per esprimere l’unità particolare di alcuni enti, che in quanto separati, sono ciascuno un ente; in quanto uniti, non sono ciascuno un ente, ma sono detti parti dell’ente, sebbene sempre abbiano l’unità trascendentale. Tale è l’unità delle parti omogenee, per esempio dei liquidi. Una goccia d’acqua separata dal resto dell’acqua è detta “un’acqua”; unita all’altra acqua, però, quella goccia non è più detta “un’acqua”, ma “parte dell’acqua”. Se consideriamo una molecola d’acqua come la “goccia” minima possibile6, quella “goccia” mescolata conserva sempre la sua unità trascendentale, inseparabile dalla ragione di ente che le rimane; sia separata, sia mescolata, è sempre ente e, perciò, è sempre una.

1.1.1.3 Conclusione II

L’unità è una formalità positiva aggiunta all’ente. Così insegna Scoto, nelle Questioni Sottilissime sulla Metafisica di Aristotele7, commentando Aristotele, secondo il quale l’ente e l’uno hanno la stessa natura e proprietà. Ma la natura e le proprietà dell’ente sono un qualcosa di positivo. Dunque, similmente, l’uno è qualcosa di positivo.

Prova. La ragione formale reale positiva deve avere proprietà reali positive; ma l’ente in quanto ente è ragione formale reale positiva. Dunque, le sue proprietà devono essere reali e positive. Ma l’unità dell’ente è proprietà dell’ente, dunque l’unità è ragione formale positiva.

Inoltre, ogni ripugnanza che ci sia in una determinata cosa comporta un qualcosa di positivo da cui segua la ripugnanza, come prova Scoto in Ord. II, d. 3, q. 2, § 498. Ma l’unità trascendentale è l’indivisione dello stesso ente, o la ripugnanza che qualsiasi ente ha d’esser costituito da parti realmente separate, ossia non aventi alcuna unione tra di loro. L’unità trascendentale, perciò, comporta qualcosa di positivo nell’ente, nel quale si trovi tale ripugnanza. Prova della maggiore. La ripugnanza, infatti, è ripugnanza di qualcosa, non di qualcosa di negativo, dunque di qualcosa di positivo. Lo si conferma con Scoto:

«“Nessuna imperfezione ripugna formalmente a qualcosa, se non a causa di una perfezione”, la quale perfezione è unqualcosa di positivo e un’entità positiva. Ma l’esser diviso è una imperfezione»9.

Dunque, la divisione che ripugna all’ente a motivo dell’unità, suppone che la stessa unità sia qualcosa di positivo. Conferma: tutti gli attributi divini sono perfezioni reali e positive; ma l’unità è un attributo divino, dunque è qualcosa di positivo.

Obiezione: l’unità non sempre dice perfezione, e la divisione o la pluralità non sempre dicono imperfezione; altrimenti la Trinità delle Persone in Dio sarebbe un’imperfezione.

Risposta. L’unità e la molteplicità si oppongono. Dunque l’unità, che si oppone alla molteplicità imperfetta, è sempre perfetta. Ma l’unità della natura divina distrugge e toglie la pluralità di dei, che sarebbe imperfetta. Dunque, quell’unità è perfettissima e, di conseguenza, è qualcosa di positivo. Prendendo in esempio la Trinità: è vero che non ogni molteplicità è imperfezione, ma è imperfezione solo quella che si oppone all’unità di ogni ente, e che sorge dalla divisione delle parti costitutive di qualche ente, e dalla distruzione di quel composto. Poiché, infatti, l’unità dell’ente è l’indivisione dell’ente in se stesso, la pluralità opposta a tale unità è la divisione dell’ente in se stesso, la quale divisione è imperfetta perché distrugge il composto, che è più perfetto delle sue parti, separatamente prese. Ma la pluralità delle Persone divine non è la divisione di parti costituenti un ente o una persona, ma è il numero di persone, ciascuna delle quali è una, e non è ordinata a costituire l’altra come sua parte10. Così la moltitudine  di uomini, in quanto moltitudine, non dice imperfezione11, perché non si oppone all’unità di alcun ente. Nessun ente, infatti, può esser composto da tutti gli uomini. L’imperfezione della persona umana non è data dalla moltitudine delle persone, ma dalla loro essenziale finitudine e potenzialità. Inoltre, poiché la pluralità delle persone umane non impedisce che ciascun uomo sia perfettamente uno, così in Dio la pluralità delle Persone non è imperfetta, perché non si oppone all’unità dell’ente infinito, né all’unità di ciascuna Persona. La pluralità di dei, però, sarebbe imperfetta, perché sarebbe la divisione delle perfezioni costituenti un solo Dio, il che va contro la sua infinità.

 

 

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