L’educazione nelle scuole parentali cattoliche: principi e finalità

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di Stefano FontanaAnno XV. 1-2020 – sez. Theologica – p. 149-166

Alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, l’Autore focalizza l’importanza dell’impegno educativo della Chiesa nei confronti di tutti gli uomini, rispecchiando così il suo ruolo di Madre che esercita la sua maternità soprannaturale verso i suoi figli, indirizzandoli al fine ultimo che è Dio. Dal dovere della Chiesa a tale maternità è legato il dovere da parte dei genitori di «educare i propri figli, non solo per quanto riguarda il fine soprannaturale dell’educazione, ma anche a proposito dei fini di ordine naturale». Si assiste, al dire dell’Autore, al fenomeno della “secolarizzazione dell’educazione” penetrata purtroppo anche nella Chiesa. Una soluzione efficace sembra essere quella della scuola parentale cattolica che «rivendica la libertà di educazione come espressione del diritto naturale e divino, oggettivo ed universale».

In questo intervento prendo in considerazione la scuola parentale cattolica, collocandola nella visione dell’educazione cattolica dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. Con l’espressione “scuole parentali cattoliche” intendo riferirmi sia alle scuole parentali sia alle esperienze di homeschooling.

1. L’EDUCAZIONE NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

La Chiesa Cattolica si è sempre occupata di educazione, non solo di educazione religiosa e morale, ma anche di educazione ed istruzione civile. Innumerevoli ed eroiche le iniziative in questo campo di Ordini religiosi, missionari, sacerdoti e, in generale, del popolo cattolico. Per usare le parole della Divini illius Magistri (1929) di Pio XI, la Chiesa
«ha in tutti i secoli creato e promosso una moltitudine ingente di scuole e istituzioni in ogni ramo del sapere […] fin da quel lontano Medioevo, nel quale erano così numerosi i monasteri, i conventi, le chiese, le collegiate, i capitoli cattedrali e non cattedrali, presso ognuna di queste istituzioni era un focolare scolastico, un focolare di istruzione e di educazione cristiana»1.

Il motivo di questo impegno educativo della Chiesa è che essa esercita nei confronti di tutti gli uomini una “maternità soprannaturale”2. La sopra-natura esercita una sua maternità nei confronti della natura umana, aiutandola a perseguire il proprio fine ultimo, quello sopra-naturale, e così facendo, l’aiuta anche a sviluppare adeguatamente le proprie stesse doti naturali, che vengono confermate e purificate. Come una mamma esercita verso i figli la sua maternità educativa come prosecuzione e compimento di quella procreativa, così la Chiesa educa gli uomini alla vita sopra-naturale e al loro fine ultimo che è Dio3 come elevazione della loro creazione naturale. La sopra-natura è compimento finalistico della natura, non nel senso che nella natura ci sia un diritto alla sopra-natura4, bensì una predisposizione o, se vogliamo, una attesa5. L’aiuto salvifico della sopra-natura è gratuito, ma non si sovrappone alla natura già realizzata come tale, come un secondo scalino si aggiunge al primo scalino, bensì risponde gratuitamente ad una sua predisposizione ontologica ad accoglierla, educandola ad una nuova vita. Come la mamma, tramite l’educazione cristiana, genera una seconda volta il proprio bambino, così la Chiesa crea una seconda volta l’uomo, tramite la vita di grazia e l’educazione cristiana, con le quali ri-capitola la stessa vita naturale.

Nascono da qui i due doveri/diritti originari dell’educazione, quello della Chiesa e quello della mamma, vale a dire dei genitori:
«I genitori hanno dalla natura il diritto di educare coloro che hanno procreato, con il conseguente dovere che la loro educazione corrisponda alla grazia di aver avuto dei figli in dono da Dio. È dunque necessario che i genitori, reagendo, si sforzino di respingere in questo campo ogni intromissione ingiuriosa e rivendichino il diritto di educare come conviene i figli al costume cristiano, specialmente tenendoli lontani da quelle scuole nelle quali corrono il pericolo di assorbire il veleno dell’empietà»6.

Il dovere/diritto della Chiesa è “sopraeminente”7, in quanto istituito direttamente da Dio. Per questo è originario e fondativo. Il dovere/diritto dei genitori è naturale, ma col Battesimo e il sacramento del Matrimonio diventa sopra-naturale anch’esso, per partecipazione al dovere/diritto della Chiesa. I due doveri/ diritti – quello della Chiesa e quello dei genitori – non sono sullo stesso piano: sono ambedue originari e non derivati da altro, ma quello della Chiesa fonda ultimamente anche quello dei genitori, perché la natura ha bisogno della sopra-natura anche per essere natura8.

Quando lungo la storia viene meno la consapevolezza del compito pubblico della Chiesa di educare, ossia del suo dovere/diritto alla “maternità soprannaturale”, viene progressivamente meno anche la consapevolezza del dovere dei genitori ad educare i propri figli, non solo per quanto riguarda il fine soprannaturale dell’educazione, ma anche a proposito dei fini di ordine naturale. Oggi molti genitori si dimostrano incapaci non solo di educare i figli nel primo senso, ma anche nel percepire le più semplici dinamiche dell’educazione nell’ordine naturale delle cose. Rivendicare il dovere/diritto dei genitori di educare i propri figli senza rivendicare pubblicamente il dovere/diritto della Chiesa non raggiunge il fondo del problema: il dovere/diritto dei genitori rimane debole e soggetto ad involuzioni di senso. Spesso oggi la rivendicazione del diritto dei genitori ad educare i figli viene inteso nel senso dell’esercizio della libertà di scelta, disancorata da doveri oggettivi e precedenti. Se il motivo per cui i genitori rifiutano l’educazione gender fosse solo il loro diritto soggettivo ad educare i figli, allora dovremmo legittimare l’educazione gender se i genitori la chiedessero.

Queste osservazioni gettano una luce particolare sul fenomeno della “secolarizzazione dell’educazione”9 in corso da molti secoli ed oggi ampiamente accolta anche nella Chiesa. Espulsa la Chiesa dalla pubblica educazione e negato che essa sia «indipendente da qualsiasi potestà terrena, come nell’origine così nell’esercizio della sua missione educativa»10, dall’educazione vengono espulsi anche i genitori. Per questa via non si giungerà – come molti dicono – ad una educazione naturale, razionale, umana anche se privata della dimensione religiosa, ma nascerà un altro grande educatore, il mondo, che educherà anche i genitori e non solo i figli ad una religione disumana. L’uomo non si identifica immediatamente col cristiano, ma tolto nell’uomo il cristiano non rimarrà nemmeno l’uomo.

Il dovere/diritto della Chiesa ad educare tutti gli uomini riguarda prima di tutto la vita di fede e la morale, ma di riflesso, in quanto adatti o non adatti alla verità religiosa e morale, riguarda anche indirettamente tutti gli ambiti del sapere e dell’attività umana, fatte le debite distinzioni. L’educazione cristiana è anche una educazione civile e non può non farsi cultura e civiltà. L’educazione cristiana non può non tendere a produrre una civiltà cristiana11, perché la Chiesa è corpo nella storia e come tale deve farsi cultura12. Il Magistero sociale ha sempre avuto la consapevolezza, bene espressa dalla Quadragesimo anno (1931) di Pio XI, che
«il deposito della Verità a noi commesso da Cristo e il dovere gravissimo impostoci di divulgare e d’interpretare tutta la legge morale ed anche di esigerne l’osservanza, sottopongono ed assoggettano al supremo Nostro giudizio tanto l’ordine sociale quanto l’economico»13.

Ciò non significa che i vari ambiti del sapere e del fare perdano la propria legittima autonomia14, dato che la sopra-natura non elimina la natura ma la perfeziona. Non significa, per esempio, che la filosofia debba diventare fede, ma che la filosofia che non si raccorda con la fede finisce anche per perdere i contatti con la realtà. Non significa che un ateo non possa conseguire il premio Nobel nel suo campo di ricerca, ma vuol dire che se quella ricerca non si collega con la morale e la fede, rischierà di produrre danni anziché benefici all’umanità. Non significa che i non-credenti non possano avere una moralità elevata ed esemplare, ma che «una società nella quale Dio è assente non trova il consenso necessario sui valori morali e la forza per vivere secondo il modello di questi valori, anche contro i propri interessi»15.

Il punto appena toccato spiega perché è lecito parlare di educazione nell’ambito della Dottrina sociale della Chiesa. Quest’ultima è un sapere che si colloca nel punto in cui la Chiesa si interfaccia con il mondo16, il punto in cui la sopra-natura si interfaccia con la natura. La Dottrina sociale della Chiesa è quindi anche essa espressione di “maternità soprannaturale” ed infatti appartiene alla missione stessa della Chiesa17 ed è strumento di evangelizzazione18. Essa non può svolgere il proprio compito se non si fa anche educazione e se non costruisce la vita sociale e politica in modo da permettere ai due agenti originari dell’educazione, ossia la Chiesa e i genitori, di svolgere convenientemente e armonicamente il loro compito. Poiché, come appena ricordato, il Cattolicesimo non può non farsi civiltà, ecco che il tema dell’educazione ha le proprie ripercussioni su tutta la vita sociale e politica. Per questi motivi non è improprio collocare l’educazione e la scuola dentro il quadro della Dottrina sociale della Chiesa.

Chiesa e genitori non sono tuttavia gli unici soggetti aventi un dovere/diritto di educare. Anche la comunità politica (civitas, koinonia politiké) lo ha. La famiglia è la prima società naturale, avente una propria autorità e propri doveri e diritti antecedenti alla comunità politica19, ma anche la comunità politica ha una sua originarietà naturale, dato che ha la caratteristica dell’autosufficienza20, possiede cioè tutti gli strumenti per conseguire il fine naturale umano, vale a dire il bene comune. La comunità politica ha quindi un proprio dovere/ diritto ad educare, che essa però deve esercitare nel rispetto del dovere/diritto assolutamente originario e fondante della Chiesa e del dovere/diritto naturale dei genitori. Possiamo dire che il compito educativo della comunità politica ha una sua legittima autonomia, ma non è fondativo né originario, bensì è complementare e sussidiario21.

Ho adoperato l’espressione “comunità politica” e non Stato, perché in rapporto allo Stato la questione educativa si complica per due motivi. Ad un certo punto della storia, lo Stato, da strumento a servizio della comunità politica ha preteso di esserne il fondamento. Per fare questo doveva negare l’esistenza di una comunità politica ad esso precedente, dato che in questo caso essa sarebbe stata anche normativa nei suoi confronti. Il regime ha avuto così il primato assoluto sulla comunità22. Come efficacemente dice Carl Schmitt a proposito di Thomas Hobbes23, lo Stato diventa così “Dio-uomo-animale-macchina” nello stesso tempo e non può non concentrare in sé tutta l’educazione del cittadino. Non si deve però pensare che così sia solo negli Stati assoluti o totalitari. Ciò avviene anche negli Stati liberali e parlamentari, perché è inevitabile il passaggio dallo Stato neutro rispetto a principi e valori allo Stato che impone questa neutralità come un valore. Lo Stato moderno assoluto e lo Stato moderno liberale e democratico hanno ambedue eliminato la comunità politica come proprio antecedente normativo e quindi ambedue pongono in se stessi la ragione assoluta del proprio operato. Né l’uno né l’altro commetteranno mai ingiustizia24, il che è il principio tirannico. Oggi la tirannia dello Stato liberale si esercita prima di tutto nella scuola.

LEGGI TUTTO

[15] Benedetto XVI, Discorso di inaugurazione della VI Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi, 13 maggio 2007. Il concetto è ripreso in ideM, Lettera Enciclica Spe salvi, n. 36.
[16] Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, n. 48.
[17] giovanni paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus, n. 5.
[18] giovanni paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis, n. 41; ideM, Lettera Enciclica Centesimus annus, n. 55.
[19] leone XIII, Lettera Enciclica Rerum novarum, n. 10.
[20] «La famiglia è più autosufficiente dell’individuo, lo Stato più della famiglia e uno Stato vuol essere veramente tale quando la comunità dei suoi componenti arriva ad essere ormai autosufficiente»: aRisto-tele, Politica, 1261b, 11-14; «per Stato intendiamo, volendo parlare in maniera generale, un numero di tali persone sufficiente ad assicurare indipendenza di vita» (ivi, 1275b, 21-23).
[21] «Anche lo Stato può reclamare diritti sull’educazione e la cultura,
poiché gli è affidato il bene comune della società […]. Ma lo Stato non
ha un diritto originario di creare educazione e cultura, perché questo
appartiene alle famiglie e alla Chiesa»: J. Meinvielle, Concezione cattolica
della politica, a cura di padre Arturo Ruiz Freites, IVE, Edizioni Setteco-
lori, Lamezia Terme 2011, p. 327.
[22] Prendo i due termini da F. gentile, Intelligenza politica e ragion di Stato, Giuffré, Milano 1984.
[23] Cf G. cRepaldi, La secolarizzazione del diritto e le leggi contro la vita, in S. fontana (a cura di), Il diritto e i diritti. Il senso della legge e le leggi senza senso, Fede & Cultura, Verona 2019, pp. 141-154.
[24] La maggioranza «non commetterà mai ingiustizia ma trasformerà ogni sua azione in diritto e legalità»: C. schMitt, Legalità e legittimità,
introduzione di C. Galli, Il Mulino, Bologna 2018, p. 62.

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