L’amore come principio di comunicazione nel bene[1]

medaglione-fides-catholica

di Peter A. KwasniewskiAnno XV. 1-2020 – sez. Philosophica – p. 89-109

Partendo dagli errati presupposti di Thomas Hobbes, l’Autore espone e confuta la presunta antinomia tra egoismo ed altruismo, arrivando alla conclusione che il fatto di essere razionali significa «poter entrare in beni che trascendono l’ordine materiale, l’hic et nunc. Ciò significa che possiamo essere un “uno-molti”: non una semplice unità come lo è Dio, né una molteplicità sempre mutevole come lo sono le cose materiali, ma una pluralità unificata in e tramite l’aderenza a un bene superiore». Soltanto le persone, create a immagine del Dio Trinitario, infatti, «hanno il divino potere di formare una realtà interpersonale, una communio o koinonia che abbraccia e conferisce il senso ultimo alla loro peculiarità, ai loro sé separati». Una tale communio è intrinsecamente spirituale e fondata sui beni spirituali e a essi ordinata.

1. L’antinomia contemporanea

È un ben noto assioma dell’etica tomistica che, qualunque bene si ami, lo si ama come bene proprio (bonum suum). Ma allora come può esservi una vera extasis, un vero andare fuori da se stessi per amore di un altro?2 Come può esservi autentico amore dell’altro per l’altro? L’amore non si riduce a egoismo? E l’unica alternativa pratica o teorica non sarebbe l’altruismo, cioè una sorta di spontaneo donare agli altri senza alcun riferimento a se stessi e al proprio bene?

Lo Stato democratico liberale e lo Stato collettivista o comunista sono gigantesche incarnazioni sociali dell’antinomia apparentemente ineludibile fra egoismo e altruismo. L’uno dei due sistemi riduce la motivazione umana all’interesse egoistico, precludendo con ciò la comunione interpersonale, che richiede il dono di sé. L’altro minaccia la felicità umana ignorando la dignità della persona in quanto tale e consentendo di sacrificare l’individuo per un “bene sociale” a lui estraneo. Tutto il clima politico della modernità ci costringe quasi a vedere la realtà come un conflitto insanabile fra egoismo e altruismo.

Poiché la società moderna ha rifiutato le virtù tradizionali in favore del consumismo materialistico e dell’edonismo, l’uomo moderno, avvezzo a pensare, sentire e agire come consumatore in cerca di piacere, è perciò abituato all’errore dell’egoismo e vi è intrappolato dentro. Dal momento che vi sono tanti bisognosi di cui egli non si cura, l’egoista va “costretto” ad aiutare gli altri. A questo proposito penso al socialismo dilagante, ai programmi previdenziali governativi e all’assistenza sanitaria obbligatoria che hanno perso il posto di una sussidiarietà organica guidata dalla giustizia sociale e dalla carità. Questo welfare state alimenta il cinismo, poi il risentimento e infine la violenza, perché non emerge da una virtù autenticamente posseduta né fa appello ad essa; rappresenta un attacco al mostruoso ego prodotto dalla società moderna. In altri termini, la società moderna instilla l’egoismo anziché la giustizia e la carità, ma poi, riconosciuto che il risultato è disastroso, tenta di obbligare all’altruismo, che si contrappone all’egoismo ma al tempo stesso lo rafforza. Il risultato sono tensioni sociali, mancanza di empatia, conflitti civili.

I presupposti di questa diffusa concezione si trovano in quell’influente pensatore politico che è Thomas Hobbes: tutto è strumentale rispetto al mio bene, inteso come bene meramente sensibile; poiché sé = corpo (anzi realtà = corpo), non si può estendere l’amore oltre il sé, oltre il corpo3. Per Hobbes tutto ciò che è al di fuori di noi è nel caso peggiore una minaccia contro di noi, nel caso migliore un mezzo rivolto al fine dell’autoconservazione. Il contratto sociale è un meccanismo che consente a me di ottenere di più di ciò che desidero e al tempo stesso promette a te di ottenere ciò che vuoi. Non possiamo desiderare qualcosa di comune perché non vi è nulla di veramente comune. Ogni bene è bene privato. Quindi non posso “volere il bene di un altro”; non posso volere che un altro stia bene per amor suo. Qualsiasi cosa io voglia per un altro (potenzialmente o attualmente) toglie qualcosa a me.

Hobbes mette a nudo le radici della moderna antinomia fra egoismo e altruismo, fra cui esiste una profonda affinità che si può dimostrare come segue. Se sono egoista, subordino il bene di tutti gli altri al mio bene personale e privato. Se sono altruista, subordino il mio bene a quello che finisce per essere il bene personale e privato di qualcun altro: l’ironia è che l’altruismo, in teoria o in pratica, dipende dal presupposto fondamentale dell’egoismo, e cioè che il mio bene e il tuo bene si escludano semplicemente a vicenda, e che io possa aiutare te solo a spese del mio bene. Ambedue le alternative sono irrazionali, anzi anticristiane: comportano infatti l’ordinamento indiscriminato degli altri a sé o di sé agli altri.

Questa contrapposizione fra egoismo e altruismo è del tutto estranea alla dottrina dell’amore di san Tommaso. Nel suo sottile realismo, Tommaso coglie bene il rapporto fra il mio bene, il bene altrui e la fonte trascendente di ogni bene, cioè il Dio tripersonale. La perfezione umana non consiste né nella realizzazione di un sé isolato dagli altri, né in una radicale negazione del valore e dell’individualità della persona. La perfezione dell’uomo consiste nel dare se stesso a Dio e al prossimo, andare fuori da se stesso verso l’altro in un’oblazione dimentica di sé che è anche la vetta della perfezione di sé, perché comporta comunicazione nel bene comune. Questa dottrina offre un’autentica alternativa ai tediosi dibattiti su egoismo e altruismo, interesse egoistico e beneficenza spontanea4.

2. l’io umano non è iSolato dagli altri

2.1. La generosità estatica come regola della creazione

Cominciamo con l’osservazione che l’io umano non è isolato dagli altri nella sua realizzazione, bensì propende naturalmente verso ciò che chiamo… “generosità estatica”. Insito nella natura umana – o più precisamente nella sua voluntas ut natura – è l’amore del bene in quanto tale. In quanto essere che è ed è buono tramite la partecipazione, l’uomo dipende dal semplice Bene ed è naturalmente ordinato ad esso; è pertanto incline, già prima della scelta, a vivere più autenticamente in e per Dio che in e per se stesso. Le numerose manifestazioni consce dell’extasis seguono a quest’innata extasis di essere creato a essere increato, di bene finito a Bene infinito, di copia a originale, di immagine imperfetta a Immagine perfetta. L’extasis ontologica precede e sostiene l’extasis psicologica come la natura precede la potenza e la potenza precede l’attività.

Al pari di tutte le creature, l’uomo ha capacità estatica (Dionigi la definisce eros), perché è fatto a immagine del Dio onnipotente il cui amore generoso crea, conserva e governa il mondo. Il Dio che non esce fuori da se stesso perché Egli è ovunque, da nulla trattenuto, è l’Amante i cui effetti sono maggiormente estatici, perché Egli crea gli esseri stessi per mezzo dell’amore e poi induce in essi l’extasis di un amore corrispondente. Nella sua bontà sovrabbondante, grazie alla quale Egli resta in se stesso, Egli crea un mondo di esseri i quali, in misura maggiore e minore, escono fuori da se stessi, imitando Lui5.

Dio ha fatto le creature perché non fossero soltanto destinatarie di bene, ma anche fonti di bene. Ens creatum, l’essere creato, ha non soltanto il lato negativo della povertà, che provoca appetito per il bene assente, ma anche il lato positivo della ricchezza, che promuove la diffusione del bene agli altri. Come spiega Norris Clarke:

«Gli esseri reali del nostro universo escono da se stessi nell’azione per due motivi: primo, perché sono poveri, nella misura in cui in quanto limitati e imperfetti cercano il completamento di se stessi da altri esseri; secondo, perché sono ricchi, in quanto esistono attualmente e quindi possiedono qualche grado di perfezione attuale e hanno una tendenza intrinseca a condividerla in qualche maniera con altri»6.

Come dice l’assioma, bonum est diffusivum sui. Il bene ha la ratio di essere diffusivo di se stesso7. Più un bene è nobile, più essere ha, e più può essere amato non soltanto in sé ma anche come qualcosa di condivisibile, diffusibile, partecipabile. L’infinito bene divino è infinitamente condivisibile e quindi è quanto mai opportuno che il divino amore, che è identico con questo bene, debba liberamente condividerlo facendo essere dei beneficiari dello stesso bene. Poiché il beneficiario creato rispecchia la sua fonte increata e imita la Sua attività – in breve, perché l’essere creato è estasi mimetica verso Dio – esso è naturalmente idoneo a comunicare se stesso ad altri nel modo in cui ciò è possibile, cioè causando efficientemente in un altro una copia della sua stessa attualità e così condividendo il suo bene. Per questo motivo, è naturale per tutte le cose non soltanto ottenere e conservare il proprio bene, ma anche condividerlo con altri. Tutte le cose, secondo la loro capacità, ne amano naturalmentealtre8 eoperanoperillorobene.Ilpasserochenutre i suoi piccoli appena usciti dall’uovo fa nel suo nido qualcosa di analogo a ciò che Dio fa nell’universo: dà qualcosa di buono a qualcuno che dipende da lui, e non per il bene di chi dona, ma di chi dipende. Forse la migliore espressione di questa verità si trova nella Summa contra Gentiles:

«Da ciò risulta che nella misura in cui un essere ha una virtù più perfetta, ed è più alto nei gradi della bontà, ha un desiderio più universale del bene, così da cercare e compiere il bene su cose da lui più distanti. Infatti gli esseri imperfetti cercano solo il bene proprio dell’individuo; invece quelli perfetti cercano il bene della specie; quelli più perfetti il bene in genere; e Dio, il quale è perfettissimo nella bontà, vuole il bene di tutti gli esseri. Ecco perché giustamente alcuni affermano che “il bene in quanto tale tende a diffondersi”, poiché quanto più una cosa è migliore, tanto più estende la sua bontà. E poiché “in ciascun genere l’essere più perfetto è modello e misura di tutti gli esseri che appartengono a questo genere”, è necessario che Dio, il quale è perfettissimo nella bontà che espande più di ogni altro, sia il modello delle creature che diffondono il bene. Ma in quanto ciascuna cosa diffonde su altre la bontà, ne diviene la causa. Perciò è pure evidente che ciascun essere, nel tendere ad essere causa delle altre cose, tende a una somiglianza con Dio, e tuttavia tende al proprio bene»9.

Quanto più elevata è la creatura, tanto più dà di se stessa, perché ha più sé all’origine del dare. «La parola “amicizia”», dice san Tommaso, «si applica propriamente a un amore che si diffonde agli altri»10.

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[1] Questo saggio è stato pubblicato originariamente in J. J. péRez-soBa M. Magdic (a cura di), L’amore principio di vita sociale. “Caritas ædificat” (1Cor 8,1), Cantagalli, Siena 2011, pp. 73-87. Lo ripubblichiamo su richiesta dell’Autore, filosofo, teologo e compositore americano. Vedi il suo sito: www. peterkwasniewski.com
[2] Lungo tutta la sua vita di studioso, san Tommaso ha elaborato la sua dottrina dell’extasis amoris in una serie di testi di eccezionale interesse. Per i testi e per la loro analisi critica: cf P. A. KwasniewsKi, St. Thomas, Extasis, and Union with the Beloved, in The Thomist 61 (4/1997) 587603; ideM, The Ecstasy of Love in Aquinas’s Commentary on the Sentences, in Angelicum 83 (2006) 51-93.
[3] Legato a questo è il “culto del corpo” contemporaneo. Questo assume molte e varie forme, che vanno da quelle relativamente innocue a quelle spiritualmente velenose, come la smodata attenzione alle immagini della televisione e delle riviste, l’ossessione per la salute e la forma fisica, i prodotti capitalistici di cura del corpo, le tecnologie medicali sempre più costose e invasive, i tatuaggi e il piercing, la pornografia. Queste forme hanno tutte in comune l’errore di partire dall’idea che il corpo o il sensibile siano il luogo del sé, cioè il luogo dell’attenzione, della coltivazione e della finalità.
[4] Cf D. gallagheR, Gewirth, Sterba, and the Justification of Morality, in M. Boclan (edited by), Gewirth: Critical Essays on Action, Rationality, and Community, Rowman & Littlefield, New York 1999, pp. 183-189.
[5] Soltanto in Dio la mancanza di extasis è pura positività, perché non vi è finitezza che Egli debba trascendere per essere se stesso così come noi dobbiamo trascendere i nostri limiti se vogliamo entrare appieno in ciò che siamo destinati a essere.
[6] W. noRRis claRKe, The One and the Many: A Contemporary Thomistic Metaphysics, University of Notre Dame Press, Notre Dame 2001, p. 33.
[7] Ecco i testi in cui san Tommaso d’Aquino si rifà a questo assioma: Scriptum super Sententiis, I, d. 34, q. 2, a. 1, ad 4; Summa contra Gentiles, I, c. 37 e II, c. 24; Summa Theologiæ, I, q. 5, a. 4 e q. 27, a. 5, ad 2; I-II, q. 1, a. 4, ad 1; II-II, q. 117, a. 6, arg. 2 et ad 2 (abbrieveremo STh.); Quæstiones disputatæ De veritate, q. 21, a. 1, ad 4. Sul principio bonum se communicat, a questo legato: cf Super Sent., I, q. 2, q. 1, a. 4, sc.; Super Sent., I, d. 10, q. 1, a. 5, arg. 3 et ad 3; STh., I, q. 19, a. 2 e q. 106, a. 4; STh., II, q. 1, a. 1; Compendium Theologiæ I, C. 124.
[8] Il principio di somiglianza sarà importante perché «ogni creatura vivente ama il suo simile, ogni uomo il suo vicino» (Sir 13,15).
[9] San toMMaso d’aquino, Summa contra Gentiles, III, c. 24.
[10] ideM, Super Sent., III, d. 28, a. 6.

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