La vita mistica alla base della spiritualità monistica. La riforma di Cîteaux
di Padre Maurizio Mazieri, – Anno XVII. 2-2022 – sez. Theologica – p. 111-142
Una delle principali caratteristiche degli scritti di vita ascetico-mistica della spiritualità monastica, con particolare riferimento nel nostro studio ai cistercensi, è il continuo tendere ad un processo che deve portare l’anima all’unione con Dio. L’amore, in questo processo, è il punto di partenza e la forza motrice dell’anima, e Dio è il fine e il mezzo della vita spirituale. Il proposito che ci prefiggiamo con il presente studio è quello di analizzare i testi a disposizione al fine di rilevare le fonti che hanno portato san Bernardo alla stesura dei suoi trattati mistici e poter rispondere ad alcune problematiche riferite ai testi del Santo.
1. INTRODUZIONE
Il lavoro effettuato riguarda l’analisi di alcuni aspetti della vita monastica, i quali hanno posto le basi della spiritualità benedettina ed in particolare dei monaci di Cîteaux. Per poter comprendere ogni spiritualità occorre partire dalle fonti che hanno ispirato i fondatori nel dare inizio a delle riforme della vita religiosa. Per questo spesso gli studi su alcuni autori, vengono fatti in modo frammentario e, come fa notare il Gilson, la stessa cosa è accaduta per lo studio del pensiero di san Bernardo, il quale, se preso staccando il senso dei testi dal loro contesto, può portare a delle conclusione sbagliate1 . A tal proposito sembra che la teologia mistica di san Bernardo, sia stata ingiustamente considerata di tendenza panteista.
Per san Bernardo la meditazione della Regola di san Benedetto e gli esempi delle Collationes Patrum et Instituta et Vitas eorum sono il primo invito alla vita mistica.
Una delle caratteristiche degli scritti di vita ascetico-mistica dei cistercensi è il continuo tendere ad un processo che deve portare l’anima all’unione con Dio. L’amore, in questo processo, è il punto di partenza e la forza motrice dell’anima, e Dio è il fine e il mezzo della vita spirituale. La conclusione a cui arriva, in modo particolare, san Bernardo è: Deus caritas est. Da questo consegue che per conoscere Dio, bisogna possedere la carità, e questo si esprime nella somiglianza dell’uomo con Dio. Altra necessità che ne consegue è che la carità sia donata da Dio, per cui questa diviene un “dono”, che ci viene dallo Spirito Santo2 . Si arriva così ad una conclusione: essendo la carità un dono di Dio e se questa è in noi, allora si può dedurre che Dio dimora in noi e l’amore per Lui è perfetto, pur non avendo la visione di Dio. Ora san Bernardo passa alla spiegazione di come riconoscere la presenza di Dio in noi e indica due segni. Il primo è l’amore del prossimo che è il punto di partenza necessario all’iniziazione della carità. Il secondo è l’assenza del timore che sfocia nella fiducia riguardo al giorno del Giudizio; questa fiducia che nasce dalla carità è un elemento essenziale nella dottrina di san Bernardo e della spiritualità monastica, in particolare quella cistercense.
Il proposito che ho voluto perseguire in questo lavoro è quello di analizzare i testi a disposizione e così rilevare le fonti che hanno portato san Bernardo alla stesura dei suoi trattati mistici e poter rispondere ad alcune problematiche riferite ai testi del Santo.
I testi utilizzati per questa ricerca sono Cultura umanistica e desiderio di Dio di Jean Leclercq e La teologia mistica di san Bernardo di Étienne Gilson.
2. LE BASI DELLA SPIRITUALITÀ MONASTICA
2.1. Fonti letterarie
Nel suo libro, il Leclercq riconduce a tre le fonti letterarie della cultura monastica: la Sacra Scrittura e i Padri, appresi mediante la liturgia, e la letteratura classica3.
La lettura della Sacra Scrittura, nella vita monastica, sfocia in una forma esegetica, e quella dei monaci diventa una lectio divina, ossia un’attività santa che si discosta alquanto dalla lectio scolastica: questa tende alla quæstio e alla disputatio, quella monastica propende alla meditatio e muove all’oratio; l’una è orientata verso la scienza e il sapere, l’altra verso la sapienza e il gusto. La lectio divina monastica, inoltre, deve sfociare nella compunzione, nel desiderio escatologico. Essa è una lettura orante4 . Tuttavia questa non può fare a meno della grammatica, la quale è ritenuta come una sua introduzione5 . Leclercq sottolinea, inoltre, sia la reminiscenza che la grande forza immaginativa degli uomini del Medioevo che permetteva di rendere presenti le realtà descritte dai libri. L’esegesi monastica non è altro che un’esegesi per reminiscenza6 : spiegare un versetto della Scrittura citandone uno simile, segno che nel Medioevo si giungeva ad imparare la Bibbia a memoria. Vi è poi anche l’ausilio di strumenti di lavoro che aiutino nell’apprendimento e nella giusta esegesi delle Scritture: le raccolte di Nomina sacra (etimologia dei nomi di luoghi e di persone) e le opere dei naturalisti antichi (bestiari e lapidari). L’esegesi monastica, dunque, è insieme letterale, perché dà importanza alle singole parole, e mistica in quanto considera la Scrittura come mezzo di salvezza (salutaris scientia), ecco perché si riteneva necessario studiare insieme Antico e Nuovo Testamento7.
La seconda fonte su cui la cultura monastica è fondata sono i Padri, perché il suo testo primigenio, e la Regola di san Benedetto, che fa parte dei testi patristici. In essa il Santo aveva prescritto la lettura delle Expositiones fatte dai Padri sulle Scritture e più volte esortava i monaci a leggere i Padri e soprattutto i Padri del monachesimo, anche orientale, come segno di unità e continuità con il monachesimo antico. Le origini orientali assieme agli esempi dei santi monaci di Oriente saranno sempre tenute presenti in ogni riforma benedettina. L’età patristica ha lasciato al monachesimo medievale termini e temi, che hanno custodito le idee fondanti della spiritualità monastica: alcune parole acquistavano un significato spirituale e così venivano tramandate. Condurre la vita monastica è stato definito un filosofare, e nella letteratura monastica, fino a tutto il XII secolo, l’espressione “christiana philosophia”, quando è usata senza commento né specificazioni, designa molto spesso la vita monastica8 . Quali furono poi le fonti che ispirarono a Guglielmo di Saint-Thierry e a san Bernardo l’idea che la vita mistica di unione con Dio potesse essere il coronamento della vita monastica? Un influsso positivo lo si può trovare senza dubbio nell’esempio delle Vitæ Patrum. Cîteaux da una parte e la Certosa da un’altra figurano come i nuovi deserti alla cui base ascetica si avrà la Regola di san Benedetto. San Bernardo e compagni, in questo cammino, si sono messi alla scuola del grande maestro Cassiano9 , al quale anche san Benedetto faceva riferimento. Una scuola che, secondo il suo maestro era l’ambizione più alta del cristiano. Oltre a san Cassiano, hanno avuto un ruolo importante nella dottrina di san Bernardo, Origene10 e Massimo il Confessore11. Un passo importante ad esempio è preso da quest’ultimo; si tratta qui dell’excessus, termine con cui viene designata l’estasi. Il fine di ogni essere è raggiungere il Bene immobile, quindi tutto si muove verso questo Bene che è Dio. Gli esseri intelligenti tendono verso di Lui attraverso la conoscenza e l’amore. Il movimento estatico avrà come effetto che colui che ama sia nel Tutto Amato e che non desideri nient’altro. Per spiegare l’excessus, san Bernardo usa due immagini, quella dell’immersione e quella della fusione, le quali però non portano alla distruzione dell’anima, bensì a stabilirla nella sua vera natura; tuttavia non sarà completo in questa vita, ma si compirà solo nell’altra. In questa vita si avrà una partecipazione analogica alla beatitudine futura. Con l’excessus si ha una deificazione perché rende l’anima simile a Dio12.