La tradizione come regola della fede

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di Padre Serafino LanzettaAnno XIII. 2-2018 – sez. Theologica – p. 369 – 388

Iniziamo con il chiederci cos’è la Tradizione della Chiesa. Mi piace citare in apertura un grande teologo della Scuola romana, addormentatosi da poco nel Signore, mons. Brunero Gherardini, il quale dice così:

«C’è, nel tessuto costituzionale della Chiesa, un passato che, grazie alla sua continuità ontologica e magisteriale, è e rimane inscindibilmente connesso con il tessuto stesso, convertendo il passato in presente e prefigurando il futuro. Si chiama Tradizione. Questa è la sua unica continuità» (1).

Partiamo quindi dalla definizione di “Tradizione” per poter poi passare a considerarla come “regola della Fede”. Tradizione è sia l’atto del trasmettere il deposito della Fede ricevuto da Cristo attraverso gli Apostoli sia l’oggetto trasmesso: le verità di Fede e di Morale sgorgate dalla bocca di Gesù, raccolte dagli Apostoli, da loro predicate e quindi consegnate ai loro successori. Dapprima di bocca in bocca, di mente in mente, poi per iscritto. Anche dopo la fase della scrittura della dottrina di Cristo – l’estensione dei Vangeli e quindi di tutte le lettere che compongono il Nuovo Testamento – la predicazione o annuncio del Vangelo continuerà a essere “misura”, “canone” o “regola di verità”. Ciò per tre ragioni fondamentali:
a) per la sua precedenza cronologica rispetto alla Sacra Scrittura;
b) per la sua estensione ontologica rispetto alla Sacra Scrittura: non tutto quello che Cristo ha detto e fatto è stato scritto;
c) infine per la sua necessaria funzione gnoseologica (conoscitiva) per discernere la Scrittura ispirata da Dio e così distinguerla dagli scritti non ispirati.

Due sono quindi, sin dall’origine, i canali attraverso i quali ci giunge la divina Rivelazione, la Sacra Scrittura e la divina Tradizione. È bene sottolineare che nei primi tre secoli,

«la Rivelazione di Dio è comunicata con due mezzi: la Scrittura, che è l’Antico Testamento, e l’insegnamento di Gesù Cristo che è, in quanto tale, comunicato dalla parola. Alcune sue parti possono essere scritte, ma a questi testi non si dà ancora l’autorità formale della Scrittura» (2).

Autorità formale che verrà riconosciuta grazie al fatto che nelle Chiese apostoliche si leggeranno solo quei determinati scritti, i quali, perciò, in ragione della Tradizione apostolica, saranno ritenuti canonici. Quando la paradosis sarà in parte messa per iscritto avremo un binomio-chiave che andrà a costituire la regola della Fede: “Scrittura e Tradizione”.

La Tradizione a cui facciamo riferimento è la trasmissione orale del Vangelo per opera degli Apostoli. Prenderemo il termine “traditio” in senso stretto di “ininterrotta trasmissione orale” del Vangelo. Quest’opera di trasmissione inizia con gli Apostoli, deriva dagli Apostoli e a loro deve essere ricondotta anche nel suo prosieguo, quando ad esempio insorgeranno le eresie che ne minacceranno l’autenticità o la verità. Abbiamo un chiaro esempio di ciò nella lettera di san Paolo ai Corinzi, in particolare al capitolo 11 (23-25):

«Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”».

In questa divina combinazione del ricevere dal Signore e del trasmettere a sua volta consiste la nostra Tradizione che, perciò, abbiamo definito apostolica. San Paolo presenterà un insegnamento simile per quanto riguarda la Risurrezione del Signore (cf 1Cor 15,3-8), dottrina cristiana chiave per accogliere la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio. La paradosis sarà sempre tale e perciò conserverà la sua autorità perenne nella Chiesa, perché sebbene

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