Il mistero dell’innocenza originaria

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di Padre Maurizio M. Mazzieri, – Anno XVIII. 2-2023 – sez. Theologica – p. 275-288

L’altissima vocazione originaria dell’unione tra uomo e donna è comunione sponsale e dono reciproco di tutta la persona nella Verità e nell’Amore, come Dio stesso ha volute sin dagli inizi. Lo stato dell’innocenza originaria, in un perfetto ordine tra anima e corpo, si oppone decisamente allo stato di peccato in cui precipitarono i nostril Progenitori, perdendo così l’integrità interna, che si rispecchiava nell’armonia esterna tra loro. Ristabilendo i giusti valori, l’uomo riuscirà a tornare a Dio, riscoprendosi “soggetto di santità, di verità e di amore”, nella perfetta somiglianza all’immagine divina impressa in sé.

1. INTRODUZIONE

Il tema scelto per questo lavoro spazia dall’udienza 16, 3 di san Giovanni Paolo II alla 19 compresa, che fanno parte del primo ciclo di catechesi sulla “teologia del corpo”. Ci troviamo ancora al «principio» (Gn 1,1) della Creazione, quel “principio” a cui si è appellato Gesù (cf Mt 19,8) per restaurare il piano originario di Dio Creatore riguardo l’uomo, il matrimonio, la famiglia e la sessualità. A detta di san Giovanni Paolo II ci troviamo dunque nella “preistoria” dell’umanità, «preistoria teologica rivelata»1 o meglio nello «stato di originaria (in un certo senso “preistorica”) e fondamentale innocenza»2.

Siamo quindi prima dello spartiacque, del peccato originale. Lo stato dell’innocenza originaria si oppone a quello della «peccaminosità “storica”»3: è impossibile comprendere pienamente quest’ultimo senza prima ben comprendere il primo. Come pure non è possibile restaurare il progetto iniziale di Dio senza conoscere quale esso sia. Da tutto ciò capiamo l’enorme importanza del tema odierno.

2. PRINCIPIO ERMENEUTICO

Per poter meglio comprendere questo insegnamento innovativo del Papa, dobbiamo rifarci ad alcuni suoi scritti precedenti: Persona e atto e Amore e responsabilità. In Persona e atto troviamo la chiave interpretativa sia dei termini peculiari usati dal Papa polacco, sia del suo modo di riflettere sui passi scritturistici e poi di spiegarli. Ci riferiamo specialmente al suo utilizzo parziale del Sistema filosofico fenomenologico da lui stesso purificato e inquadrato nella filosofia tomista.

Particolare importanza in questo approccio analitico-descrittivo ha l’esperienza4.

Karol Józef Wojtyła scriveva che l’esperienza è posta «a fondamento del sapere dell’uomo»5, e questa esperienza è sia interiore che esteriore6. È proprio in virtù di questa esperienza che si conosce la persona7, poiché la persona si rivela «attraverso l’atto e attraverso il valore morale dell’atto»8. Ecco perché «l’esperienza dell’uomo è il fondamento sul quale è possibile cogliere la relazione “persona-atto” o, piuttosto, la visione della persona attraverso l’atto»9.

Come si può ben notare non sta parlando di una mera esperienza empirica e irrazionale, tipica di alcuni filoni della filosofia moderna e contemporanea, ma di una esperienza che è anche altamente sistematica e razionale, umana, secondo il significato più pieno e veritiero di questo termine – ossia quello messo ben in luce dall’«antropologia integrale»10 –, poiché riguarda l’analisi dell’uomo nella sua interezza di anima e corpo. Analisi che permette di risalire fino alla conoscenza della persona umana attraverso i suoi atti: dallo studio dell’agire di una persona, si giunge a conoscere la persona che agisce11.

In quest’affermazione soggiace un principio gnoseologico tomista rintracciabile in questo passo della Summa, secondo il quale «il nostro intelletto non conosce se stesso mediante la propria essenza, bensì mediante il proprio atto»12. Come pure soggiace un altro principio generalissimo, l’agitur sequitur esse – anche questo enunciato proprio da san Tommaso – in virtù del quale possiamo dire che si agisce in base a ciò che si è: ecco perché attraverso l’atto possiamo identificare la persona.

3. L’ESPERIENZA DELLA VERGOGNA

L’affermazione di Genesi 2,25 – «tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna» – oltre ad essere unica in tutta la Sacra Scrittura, ci pone dinnanzi un’esperienza originaria che coincide con il tema centrale della nostra trattazione: Il mistero dell’innocenza originaria dell’uomo13.

In questa esperienza iniziale dell’uomo e della donna scopriamo ancora una volta un messaggio derivante dal linguaggio del corpo: dal fatto di essere nudi e di non provare alcuna vergogna si risale allo stato interiore dell’anima di Adamo ed Eva e dunque dell’uomo creato da Dio. Adamo ed Eva godevano dell’innocenza (giustizia) originaria in loro, dunque Dio – in virtù della grazia e dei doni preternaturali – aveva posto un perfetto ordine tra anima e corpo. Il corpo rispecchiava, significava14 esteriormente l’interno della propria anima, anche in questo c’era una perfetta armonia.

Questa rivelazione, attuata dal corpo umano, portava in sé «la scoperta del significato “sponsale” del corpo nella sua mascolinità e femminilità»15.

L’esperienza del non provare vergogna, e dunque quella dell’innocenza originaria, oltre a rivelare la perfetta armonia interna ad ogni uomo tra la sua anima e il suo corpo, rivelava anche la perfetta armonia esistente tra gli uomini. Difatti l’innocenza originaria è «ciò che radicalmente esclude […] vergogna del corpo nel rapporto uomo-donna»16. In sintesi, il dono dell’integrità interna permetteva anche l’armonia esterna tra i vari esseri.

L’uomo era dunque consapevole del gran dono ricevuto da Dio e di dover fare altrettanto liberamente donandosi reciprocamente attraverso la mascolinità e femminilità. Tutta questa sua coscienza originaria, anteriore all’esperienza della conoscenza del bene e del male, era ciò che lo beatificava.

4. IL DONO DEL CORPO RIVELA IL DONO DELLA PERSONA

La reciproca esperienza iniziale e innocente del corpo può essere ben compresa solo alla luce dell’«innocenza interiore nello scambio del dono della persona»17, poiché questo ne è la scaturigine.

Questo scambio reciproco consiste in un vicendevole donarsi all’altro e accettare l’altro. Ovviamente ciò avviene tramite la donazione/accettazione di «tutta la verità e l’evidenza del loro proprio corpo»18.

Tale donazione possiede un alto grado di dignità, si tratta di una dignità pari a quella della persona umana – maschio e femmina – e della sua altissima vocazione originaria, per cui esige che l’uomo vi corrisponda degnamente. Difatti la vera donazione del corpo esige l’innocenza interiore, ossia quella della volontà, dell’intenzione: solo tramite questa verità integrale dell’uomo – maschio e femmina – si realizza un’autentica comunione, una «communio personarum»19 che è appunto una comunione di persone e di tutta la persona (anima e corpo) compresa quindi anche la sua mascolinità e femminilità20.

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