«Ex solo Patre» ed «ex Patre Filioque».
Due costituzioni teologico-politiche di due grandi spazi

medaglione-fides-catholica

di Andrea SandriAnno XV. 1-2020 – sez. Theologica – p. 135-148

Il confine tra Oriente ed Occidente, è segnato, ancora oggi, dalla distinzione tra ex solo Patre (Oriente) ed ex Patre Filioque (Occidente). La considerazione della monarchia del Padre, sostenuta dagli orientali, rischia di condurre a «trasposizioni teologico-politiche» sul piano della comprensione e della legittimazione dell’istituto monarchico. L’excursus storico compiuto dall’Autore, mostra come ancora oggi «questi due spazi rappresentano, nonostante la secolarizzazione che li attraversa, due persistenti momenti di resistenza». Ma è la Verità che alla fine dovrà trionfare.
Descrivere la «Cristianità di Bisanzio e dell’Europa orientale»1, la storia e gli ordinamenti di un Impero che nasce, secondo un’interpretazione diffusa, nel 3952, dopo la morte di Teodosio, con la divisione definitiva dell’Impero Romano, e si conclude con la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi il 29 maggio 1453, è un compito immenso.

D’altro canto, mentre l’espressione “Bisanzio”, con il suo aggettivo “bizantino”, indica un fenomeno complessivamente omogeneo, l’“Europa orientale” non è più che un nomen della geografia sotto il quale sono sussunte realtà che, dal punto di vista che qui più interessa, si scompongono ulteriormente in “Occidente” e in “Oriente”: così Zagabria e Belgrado, come Leopoli e Kiev, rappresentano realtà linguisticamente ed etnicamente omogenee, ma difficilmente riducibili a un’unica essenza o qualità, quella dell’essere “Europa orientale”.

La stessa espressione “Europa”, di ascendenza mitica (la fanciulla ambita da Zeus)3, è pressoché ignota alla politica dell’Epoca antica la quale conosce civitates, regna e una lotta per l’Impero Romano. Essa succede, come ultima neutralizzazione, a un’espressione, Cristianità, Christenheit, che, non a caso, è ampiamente utilizzata da Lutero4. Ancora più efficacemente di una “Cristianità” secondaria, che Søren Kierkegaard nel XIX secolo accusò, non senza qualche ragione, di avere «abolito il Cristianesimo»5, il concetto di “Europa” si sovrappone, offuscandola, alla realtà teologica e politica dell’Impero Romano cristiano e poi alla contrapposizione, altrettanto reale, tra l’Occidente cristiano, cui apparteniamo, e l’Oriente cristiano che è ciò che sta oltre il limes, il confine, seppur non nel senso di una assoluta inimicizia, quand’anche l’esagerazione di alcuni sviluppi teologici abbia portato allo scisma.
Carl Schmitt, in una famosa pagina di Der Nomos der Erde, affermando e, al contempo, attenuando la contrapposizione tra Oriente e Occidente, scrive:
«La continuità dell’Impero romano nell’Impero bizantino costituisce un problema di diritto internazionale per sé, ma riguarda praticamente soltanto i Balcani e l’Oriente»6.

Una volta tanto si può sostenere che il giudizio di Schmitt è in qualche modo sbrigativo. In realtà, ed è questa la tesi che si vuole qui abbozzare, se è vero che la contrapposizione tra i due spazi non è assoluta (come quella rispetto allo spazio dell’Islam), soprattutto tra i secoli VI e XI si vanno formando nella storia, come nello sviluppo dogmatico che in qualche modo è sospinto dalla storia, due distinte costituzioni teologico-politiche dell’Occidente e dell’Oriente come grandi spazi della terra, ben oltre l’Europa. Il passaggio da una costituzione all’altra non è indifferente, ché significa ultimamente appartenere a un diverso dominio, non solo politico ma anche teologico.
La distinzione di cui si parla, attorno alla quale il movimento ecumenico ha esercitato tutta la propria forza neutralizzante, è quella, individuata con certezza già in Spagna nel VI secolo, tra «εεπεεεεεμεεεε[exsoloPatre]»(Oriente)ed«exPatreFilioque»

(Occidente). Tale distinzione, che, nell’affermare la cattolicità del Filioque, appartiene alla Tradizione della Chiesa, non è in realtà mai venuta meno e continua, anche nella secolarizzazione, a segnare il confine tra Oriente e Occidente.

Naturalmente le seguenti considerazioni non possono che costituire un iniziale abbozzo di un quadro che merita di essere approfondito in ogni suo aspetto e che non pretende di essere definitivo e privo di incongruenze e di lacune ancora da risolversi e da colmarsi sia sul piano storico sia su quello teologico, giuridico e della storia politica.

1. A PATRE E FILIOQUE. DUE POSIZIONI TEOLOGICHE

Com’è noto, il Credo, nella sua versione stabilita durante il I Concilio Costantinopolitano, riporta la formula semplice «ἐκ τοῦ Πατρὸς ἐκπορευόμενον [ex Patre procedit]»7, cui Benedetto VIII aggiunse nel 1054, dopo una disputa di più secoli di cui si tenterà qui un breve resoconto, la formula “Filioque” (ex Patre Filioque procedit) destinata a divenire vigente in tutta la Chiesa latina (meglio: cattolica) e generalmente rifiutata dalla Chiesa d’Oriente (meglio: ortodossa). Anche le Chiese riformate generalmente conservano il Credo occidentale con l’aggiunta del Filioque8.

Nel 1263, ormai a termine di un lungo sviluppo, san Tommaso d’Aquino afferma, nell’opuscolo Contra errores graecorum, la «necessità di fede e di salvezza» di ritenere il “Filioque” e conclude che «è evidente che non devono essere tollerati in alcun modo coloro che negano che lo Spirito Santo procede dal Figlio». Così l’Aquinate, pur traendo fondamento dalla dottrina degli stessi Padri greci del IV secolo, di Basilio, Atanasio, Cirillo d’Alessandria, ampiamente citati nel testo, si inserisce in una comprensione “occidentale” della Santissima Trinità in base alla quale all’interno dell’unica essenza divina le tre Persone si definiscono eternamente secondo la propria relazione9.

In particolare, riprendendo sant’Anselmo di Canterbury, san Tommaso sostiene che, poiché sono «unius essentiæ», «il Padre e il Figlio non sono differenti l’uno dall’altro se non per il fatto che questo è Padre e quello è Figlio» e, dal momento che la processione dello Spirito Santo non caratterizza né la paternità né l’essere-figlio, «avere lo Spirito come procedente da sé è comune al Padre e al Figlio»10; inoltre, sulla base di questo stesso principio, si definisce l’immagine della Trinità come una “catena” in cui la generazione del Figlio dal Padre è presupposto della spirazione dello Spirito Santo da entrambi:
«Infatti se lo Spirito Santo non fosse dal Figlio, non sarebbe termine della Trinità diversamente dal Figlio, né l’ordine della Trinità sarebbe assimilabile a una catena, bensì a un triangolo»11.

Proprio la figura del triangolo descrive invece la Trinità nella sua comprensione orientale come relazione di ipostasi, termine con il quale si indica la persona in senso cristiano e ontologico, «un agente “che possiede” la propria natura e che “agisce” coerentemente, un soggetto unico, la cui assoluta identità non può in alcun modo essere duplicata»12: le tre Persone, le quali posseggono individualmente la medesima essenza divina, sono perciò eguali secondo l’essenza e distinte secondo la propria ipostasi (ancor più che nella Teologia occidentale). Esse si distinguono, dunque, più che in base a relazioni eternate nella medesima essenza divina, secondo la posizione ipostatica di ognuna. Il Padre è eternamente causa (αίτια) del Figlio e dello Spirito Santo come persone (ipostasi) ed, Egli solamente, comunica ad entrambi la propria divinità: soltanto “allora” i Tre entrano in relazione come koinonia di tre Persone13.
Pertanto la dottrina orientale deve necessariamente comprendere la processione “dal” o “attraverso il Figlio”, quando affermata, come la provenienza dei charismata (doni) dello Spirito e non dell’esistenza ipostatica dello Spirito: Cristo, ovvero il Verbo Incarnato, porta nel tempo i doni dello Spirito, ma non è autore dell’eterna spirazione dello Spirito Santo la quale nella realtà trinitaria è riservata esclusivamente al Padre come unica «fonte della divinità»14. A differenza della Teologia occidentale, che fa tendenzialmente precedere l’unità essenziale alla distinzione relazionale tra persone, la Teologia orientale dà la preminenza alla diversità tra le Persone (ipostasi) e ribadisce quindi la consustanzialità di Padre, Figlio e Spirito Santo come risposta al triteismo15.
La celebre Trinità dipinta attorno al 1422 dal monaco e grande pittore russo Andrej Rublëv sembrerebbe rappresentare perfettamente, tramite astrazione dall’episodio biblico dell’«ospitalità di Abramo» (Gn 18,1-16), questa realtà trinitaria. Basti qui qualche accenno: vi appaiono attorno a una tavola individualmente e distintamente tre persone angelicate praticamente identiche nel volto e financo nel corpo (la medesima essenza divina); il vero vertice di questa Trinità è costituito dal Padre, che appare con il capo eretto, seduto al lato sinistro, di fronte al quale il Figlio (a capotavola) e lo Spirito Santo (sul lato destro) chinano leggermente i propri capi indicando la processione da Lui. Sullo sfondo una quercia rappresenta l’albero della vita ovvero il legno della Croce. Tutt’e tre le Persone indossano il blu, colore indicante la divinità, che il Padre accompagna con il viola (regalità), il Figlio con il cremisi (l’Incarnazione e l’umanità di Cristo) e lo Spirito con il verde, colore liturgico della liturgia bizantina per la Pentecoste, simbolo del rinverdire della terra, «di giovinezza, bellezza, forza creatrice» (P. Evdokimov)16.

Così, senza ricadere negli errori dell’adozionismo e dell’arianesimo, la Teologia bizantina riafferma, nell’ambito della Trinità, la monarchia del Padre, egualmente sovraordinato a Figlio e Spirito Santo. E a ciò si ricollega lo scandalo di Fozio (cui si dovette lo scisma che durò dall’867 all’880) di fronte alla possibilità di inserire il Filioque nel Credo niceno-costantinopolitano. Il Patriarca di Costantinopoli nella sua Enciclica dell’866 definisce il Filioque la «corona di tutti i mali» introdotti dai missionari franchi in Bulgaria e accusa la Teologia occidentale di «relativizzare», incorrendo in una nuova forma di modalismo (sabellianismo), «la realtà dell’esistenza personale o ipostatica nella Trinità» e, finalmente, di «distruggere la monarchia del Padre»17.

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[1] Tema assegnatomi dagli organizzatori dell’Università dell’Estate della
Fondazione Lepanto tenutasi a Subiaco dal 25 al 28 luglio del 2019. Que-
sto articolo ne costituisce lo sviluppo.
[2] Altri fanno riferimento al 330 (inaugurazione della nuova capitale dell’Impero Romano a Bisanzio da parte di Costantino I), al 476 (fine dell’Impero Romano d’Occidente: deposizione di Romolo Augusto da parte di Odoacre) oppure al 565 (morte dell’imperatore Giustiniano I, ultimo imperatore di madrelingua latina).
[3] Cf n. g. l. haMMond h. h. scullaRd, Dizionario di antichità classiche, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995, p. 895.
[4] Sulla formazione nel pensiero di Lutero del concetto di “Christenheit” come reggimento di Cristo attraverso la “spada” dei principi protestanti si veda v. Mantec, Zwei Schwerter Zwei Reiche. Martin Luthers Zwei-Reiche-Lehre vor ihrem spätmittelalterlichen Hintergrund, Mohr-Siebeck, Tübingen 2005; oltre ai classici g. töRnvall, Geistliches und weltliches Regiment bei Luther, Kaiser Verlag, München 1947; g. wingRen, Luthers Lehre vom Beruf, Kaiser Verlag, München 1952.
[5] s. KieRKegaaRd, Esercizio di cristianesimo, Piemme, Casale Monferrato 2000, p. 320.
[6] c. schMitt, Il nomos della terra, Adelphi, Milano 1991, p. 41.
[7] DH 150.
[8]Così, per esempio, nelle recentissime Ordnungen des Predigt und Abendmahlsgottesdienst mit Psalmen contenute in Unser Gottesdienst, Verlag des Evangelischen Gesangbuchs, Stuttgart 1986, si legge: «Wir glauben an den Heiligen Geist, der Herr ist und lebendig macht, der aus dem Vater und dem Sohn hervorgeht» (c.m.). Sulle posizioni teologiche inoltre a. e. sieciensKi, The Filioque. History of a Doctrinal Controversy, Oxford University Press, New York 2010, pp. 174ss, 204-206.
[9] Ciò che sembra essere formulato definitivamente dal Concilio di Firenze nel Decretum pro Iacobitis (1411): in Dio «omnia sunt unum, ubi non obviat relationis oppositio» (DH 703), e che, tra gli altri L. ott, Compendio di teologia dogmatica, Ichthys, Albano Laziale s. d. [1964], p. 121, traduce come principio de fide: «In Dio tutto è uno ove non esiste opposizione di relazione» (legge trinitaria fondamentale).
[10]San tommaso d’aquino, Opuscula Theologica, Marietti, Torino-Roma 1954, vol. 1, c. 28, p. 338.
[11] Ivi, p. 184.
[12]J. MecendoRff, Byzantine Theology. Historical trends and doctrinal themes, Fordham University Press, New York 1983, p. 182.
[13] Ivi, p. 174.
[14] Ivi, p. 93, che fa riferimento alla Mistagogia di Fozio (PG 102,337).
[15] Cf ivi, p. 184.
[16] Si veda g. passaRelli, L’Icona della Trinità, La Casa di Matriona, Milano 1988, passim; e in particolare a. stRezova, Hesychasm and Art. The Appearance of New Iconographic Trends in Byzantine and Slavic Lands in the 14th and 15th Centuries, Australian National University Press, Camberra 2014, pp. 195-197.
[17] J. MecendoRff, Byzantine Theology. Historical trends and doctrinal themes, p. 92 (Enciclica 8; PG 102,725c). Inoltre, sullo sviluppo della posizione di Fozio: a. e. sieciensKi, The Filioque. History of a Doctrinal Controversy, pp. 100-104.

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