Fratelli ma senza un Padre perché privi del Figlio

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di Padre Serafino M. Lanzetta – Anno XVI. 2-2020 – sez. Editoriale – p. 5-19

La nuova Enciclica di papa Francesco, firmata il giorno 3 ottobre 2020, vigilia della festa del Serafico Padre San Francesco, porta il titolo di Fratelli tutti, estratto dalle Ammonizioni del Poverello d’Assisi. Si tratta dell’Ammonizione VI, che nella sua interezza recita così:

«Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore, che per salvare le sue pecore (cf Gv 10,11; Eb 12,2) sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e nella persecuzione (cf Gv 10,4), nella vergogna e nella fame (cf Rom 8,35), nel- l’infermità e nella tentazione e in altre simili cose, e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna. Perciò è gran de vergogna per noi, servi di Dio, che i santi hanno compiuto le opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il solo raccontarle»1.

Estrapolare due parole da un’intera Ammonizione per presentare con le medesime un discorso sulla fraternità universale, che difatti prescinde da Dio e dal suo Figlio, il Buon Pastore che per farci veramente fratelli e figli di Dio sostenne la Passione e la Croce, sembra davvero un’impresa impossibile. Eppure papa Francesco vi si arrischia e punta, chiedendo l’appoggio del Poverello, a parlare a tutti gli uomini. È certamente encomiabile lo sforzo di vedere un giorno gli uomini affratellati da valori comuni che rinuncino all’egoismo e al sopruso, che non si facciano più la guerra, né che con brame di potere riducano la creazione santa di Dio a un luogo di consumo e di spreco. Tuttavia non si può prescindere dalla realtà del peccato originale, che ha ferito profondamente l’uomo in se stesso e nel suo rapporto con Dio, e perciò con l’intera creazione. Questo riferimento però manca nel testo papale e con esso anche il tema della salvezza in Cristo, il quale morendo per noi ci ha riconciliato con il Padre e così ha ripristinato le condizioni per la riconciliazione tra tutti gli uomini. Il desiderio di creare un mondo nuovo, fraterno e rappacificato, prescindendo da Dio e dal Figlio suo Gesù Cristo, è solo un’altra promessa menzognera del serpente antico di Genesi: sarete voi come dèi, sarete voi a scegliere – al posto di Dio e senza di Lui – ciò che è bene e ciò che male. La vita è nelle vostre mani. Quella promessa però si è rivelata originariamente insulsa e rovinosa. L’uomo Adamo che voleva far da sé non ha costruito con i suoi discendenti una famiglia umana unita e cordiale. L’egoismo del peccato di disobbedienza a Dio lo ha inclinato all’egoismo universale, capitale, distruttivo.

Si sono generate rivoluzioni e guerre che, anche quando fatte nel nome dell’uomo, della sua libertà o per un’umanità affrancata dalla fame e dall’alienazione, hanno distrutto gli uo – mini, hanno ferito l’umanità. L’Enciclica Fratelli tutti sembra dimenticare tutto ciò, e con un desiderio più ideale che reale, pro pone una nuova via per raggiungere questo traguardo: quella dei buoni sentimenti presenti nelle persone, oltre la religione, oltre e senza la religio vera, senza Dio. Il discorso religioso fa da sfondo, ma per essere tranquillamente superato, sembra, in una religione più ampia, quella della bontà fraterna, senza dogmi o pretese dottrinarie, causanti diffidenze reciproche e conflitti religiosi. Un sogno, che non solo appare utopico, per il fatto che, come si diceva, nessuna rivoluzione fatta in nome dell’uomo ha mai funzionato, ma soprattutto anti-cristico, che esclude Gesù Cristo. E questo fa specie perché a parlare non è un leader politico o il presidente di una nazione, ma il Papa.

Si potrebbe obiettare che l’intenzione dell’Enciclica è quella di raggiungere ogni uomo, di far dialogare gli uomini a prescindere dal loro credo o dalle proprie convinzioni. Quindi un’opera di benevolenza in una forma secolarizzata, segnata per lo più dall’indifferenza religiosa. In verità andrebbe ricordato che la missione della Chiesa non è e non potrà mai essere quella di instaurare un mero dialogo fraterno con i popoli e far sì che questi dialoghino pacificamente tra loro. Se è apprezzabile e doverosa un’opera diplomatica della Santa Sede per favorire la pace tra i popoli e gli Stati, ciò però non si sostituisce alla missione della Chiesa, che è annunciare il Vangelo di salvezza nel nome del Dio Unitrino. La missione diplomatica della Santa Sede è al servizio della missione della Chiesa e non viceversa.

Purtroppo è il concetto stesso di “missione” che in Francesco cela dei presupposti che arrestano la missione della Chiesa. “Chiesa in uscita” non è una Chiesa che evangelizza e guadagna gli uomini a Cristo e al Vangelo per la loro eterna salvezza; è piuttosto una Chiesa che lascia da parte le sue “abitudini” di un tempo, che va oltre se stessa, oltre la sua dottrina, per aprirsi a un dialogo di salvezza umana2 . Esempio di ciò è la frase (piuttosto slogan): «Nessuno si salva da solo», ripresa in Fratelli tutti (cf nn. 32, 54) e ufficializzata durante il momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia a causa dal Covid-19 (27 marzo 2020)3 . Nessuno si salva da cosa? Di quale salvezza si parla? Certamente la salvezza cristiana non è intramondana e non si confonde con la solidarietà umana, o in termini di dottrina sociale, con la carità sociale. Mentre quest’ultima è lo sforzo dell’amore cristiano di penetrare gli ambiti sociali della giustizia e della pace, la salvezza che Gesù ci ha portato, invece, è escatologica, trascendente, in Dio per l’eternità. Questa visione del tempo a partire dall’eternità manca nell’Enciclica di Francesco e provoca un appiattimento del discorso sul momento che si vive.

  1. IL VALORE MAGISTERIALE DELLA FRATELLI TUTTI

La nuova Enciclica di papa Francesco «sulla fraternità e l’amicizia sociale» – come già quella precedente Laudato sì – si presenta come una lettera scritta a tutti, «a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose» (n. 56), tra le quali eventualmente trovano spazio anche i credenti. Forse la Parola di Dio come per la Parabola del buon Samaritano, spiegata per trovarvi non un esempio evangelico di amore in Cristo, quanto piuttosto un fondamento evangelico di un amore universale senza connotati religiosi. In queste due ultime Encicliche di Francesco si inaugura un nuovo stile di lettera circolare del papa, non più come prima rivolta «ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, ai fedeli laici e a tutti gli uomini di buona volontà», ma semplicemente una lettera che gira rivolta a tutti. Questo, come succede chiaramente nell’ultima, a cui ci riferiamo in questo scritto, dà al Papa la libertà di esprimersi secondo una sua visione delle cose e secondo le sue opinioni.

L’assenza di un destinatario concreto all’interno della Chiesa mette però in evidenza un problema ulteriore: la libertà di espressione prescinde fondamentalmente dalla Rivelazione della Chiesa, dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, usate semmai come giustificazione delle proprie idee. Manca perciò l’oggetto formale: Dio che si rivela e la fede che promana dalla divina Rivelazione, che specifica un’Enciclica pontificia rispetto a una semplice missiva, in grado di collocarla nell’alveo di un Magistero autentico e ordinario. Più che tra le Encicliche pontificie, la Fratelli tutti andrebbe collocata nell’epistolario personale di Francesco.

Di più, balza subito all’occhio del lettore una visione completamente orizzontale dell’essere fratelli. La parola “fratello” non ha un’accezione teologica, ma sociale, sebbene presa in prestito da un discorso che fa trasparire una visione teologico-politica della storia. È un discorso che mira piuttosto ad affratellare gli uomini. Il lemma-chiave, “fratelli”, dovrebbe denotare l’essere tali in quanto generati dalla Parola di Dio e dall’evangelizzazione apostolica, come ad esempio insegna chiaramente san Paolo che scrive alla comunità di Corinto (1Cor 2,1ss) per richiamare alla loro mente il modo in cui sono stati resi cristiani, non in virtù di parole elaborate o di discorsi sontuosi, ma in virtù della parola della Croce di Cristo. Si è “fratelli”, si diviene tali, solo in Cristo, in quanto figli del Padre e partecipi con Lui e per Lui della filiazione divina adottiva per mezzo del Battesimo. È Cristo, «il Figlio Unigenito» (Gv 3,16) che, per un disegno eterno del Padre, diviene «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), cioè di quei chiamati che accolgono il Vangelo e diventano cristiani: «Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).

Siamo fratelli perché figli di Dio. Solo se abbiamo un unico Padre siamo veramente fratelli. Ciò implica non solo l’essere creati dallo stesso Dio, ma specificamente l’essere generati come «nuova creazione» (2Cor 5,17) in Cristo per mezzo della grazia di adozione filiale. È vero che in modo più ampio possiamo far riferimento all’essere fratelli in ragione del fatto che come uo – mini siamo creati da Dio. L’Antico Testamento conosce questo concetto di paternità di Dio legata alla creazione degli uomini. Isaia infatti dice: «Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani» (Is 64,7).

Questo discorso relativo alla creazione dei figli di Dio però rientra nella visione religiosa e salvifica di Israele, cioè di un Dio che non solo è Creatore ma anche Salvatore, perché ha liberato il suo popolo dalla schiavitù e dalla morte (soprattutto Dt 24,18, Sal 81,8). Tutte le genti create da YWHW verranno e si prostreranno davanti a Lui; questa è la speranza del salmista a più riprese (cf Sal 86,9). È lo stesso Isaia, poi, che unisce in profonda unità i due connotati di Dio, la paternità e la salvezza quale offerta di redenzione: «Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore» (Is 63,16).

Questa paternità salvifica di Dio si svela pienamente nel – l’invio del suo Figlio che si fa uomo, manifesta così la gloria del Padre e per mezzo della sua Croce riunisce «insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52). L’unità frantumata dal peccato e dall’orgoglio originari viene ricostituita nel Figlio, cosicché chi possiede il Figlio professando la fede in Lui possiede anche il Padre, ma chi nega il Figlio e trova una filiazione-fraternità alternativa non possiede neanche il Padre, non ha Dio (cf 1Gv 2,23). «Chi va oltre e non rimane nella dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi invece riamane nella dottrina possiede il Padre e il Figlio» (2Gv 9,1).

Questo breve excursus sulla portata teologica del lemma “fratello”, assente del tutto in Fratelli tutti, depone ancora una volta a favore di un’Enciclica che non è tale nel senso comunemente attribuito a una lettera circolare del Sommo Pontefice. È in realtà un’opinione strettamente personale di Francesco. Se si prova ad inquadrarla dal punto di vista teologico, con una distinzione della Donum veritatis della Congregazione per la Dottrina della Fede (n. 24), si tratterebbe di un intervento di ordine prudenziale sulla corrente situazione, non privo di carenze, oltretutto fortemente discutibile non tanto dal punto di vista teologico, perché il discorso esula da quest’ambito, quanto da quello della teologia della storia e della storia come tale.

LEGGI TUTTO

1 In E. Caroli (A CURA DI), Fonti Francescane. Scritti e biografie di san Francesco d’Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e bio grafie di santa Chiara d’Assisi, Editrici Francescane, Padova 20113, n. 155.

2 Per approfondire questo aspetto, si veda il nostro saggio: Chiesa in uscita» o uscita dalla Chiesa?, in Fides Catholica I (2019) 93-110.

3 In L’Osservatore Romano, 29 marzo 2020, p. 10.

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