“Don” Ernesto Buonaiuti (1881-1946): il “Giusto europeo” e l’ospitalità agli ebrei a Roma dopo le leggi razziali

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di Giuseppe Brienza, – Anno XVII. 1-2022 – sez. Historica – p. 107-118

«In quest’epoca di laicismo si distinguono due tipi di persone:
quelli che attaccano la Chiesa dal di fuori
e quelli che la attaccano dall’interno,
servendosi della Chiesa stessa»1.

A Ernesto Buonaiuti (1881-1946), prete cattolico apostata scomunicato a seguito dell’opera Lettere di un prete modernista (1908, da lui scritta in risposta all’Enciclica di san Pio X Pascendi Dominici gregis), è stata dedicata a Roma una targa commemorativa in occasione dell’ultima Giornata europea in memoria dei Giusti (6 marzo 2022). Il saggio sostiene che, in questo caso, i reali intenti dell’iniziativa non siano rivolti a fare memoria della persecuzione degli ebrei, bensì a rinfocolare la polemica contro la Chiesa cattolica e le liturgie dell’antifascismo. Buonaiuti fu allontanato infatti anche dalla cattedra di storia del cristianesimo all’università di Roma, perché tra i dodici professori che si rifiutarono di giurare fedeltà, nel 1931, «alla patria e al regime fascista».

I “cattolici” che attaccano la Chiesa dall’interno sono particolarmente apprezzati dal mondo laicista. Fra questi “don” Ernesto Buonaiuti (1881-1946), il personaggio più noto del modernismo italiano, al quale è stata dedicata in occasione dell’ultima Giornata europea in memoria dei Giusti una targa nel quartiere romano di Montesacro. L’ex sacerdote e professore di storia del Cristianesimo all’università di Roma “La Sapienza”, infatti, a seguito delle leggi razziali del 1938-’39, ospitò per alcuni mesi nella sua casa di via Monte Faraone 5 Giorgio Castelnuovo, un ragazzo di religione ebraica affidatogli dalla madre.

 

1. “Giusti europei”? Sì, purché eretici!

Sicuramente atto dovuto in sé, il riconoscimento appare però discutibile sotto almeno due punti di vista. Anzitutto perché l’encomio ad Ernesto Buonaiuti è arrivato da ambienti culturali e civili che, negli ultimi sessant’anni, hanno misconosciuto il soccorso ben più rilevante prestato alle 4.447 persone di razza ebraica che, fra il 1943 e il 1945, hanno trovato asilo e protezione negli istituti religiosi e in case private dell’organizzazione clandestina cattolica facente direttamente capo a papa Pio XII. Sorge dunque il dubbio che, assieme alla doverosa memoria della persecuzione degli ebrei romani, si voglia, con questo riconoscimento specifico, alimentare ulteriormente l’obiettivo di screditare la Chiesa in quanto il “Buonaiuti-benefattore” è stato, come noto, scomunicato per la sua professione dell’eresia modernista nel 1926.

Altro concomitante obiettivo che, a nostro avviso, ha motivato il riconoscimento dell’ex sacerdote quale “Giusto europeo” è stato quello di reiterare la “liturgia” dell’antifascismo, essendo egli stato rimosso nel 1931 dalla cattedra de “La Sapienza” per essersi rifiutato, assieme ad altri 11 professori universitari, di giurare fedeltà “alla patria e al regime fascista”. Si tratta di una circostanza alla quale è stato dato ampio risalto nelle cronache mediatiche della Giornata del 6 marzo 2022, ma che, per dolo o per colpa non sappiamo, si basa su una deprecabile opera di mistificazione storica.

Siamo quindi al secondo motivo che avrebbe dovuto sconsigliare il riconoscimento romano: nel 1939-1940 Buonaiuti si rese responsabile di un’imbarazzante opera di propaganda politica del regime nazionalsocialista. Ebbe infatti a scrivere diversi articoli di entusiastico consenso nei confronti del regime hitleriano e della potenza tedesca, come riportato, con delusione ma onestà intellettuale, dallo scrittore e storico Giordano Bruno Guerri che, all’ex sacerdote, ha dedicato una elogiativa biografia.

 

2. Quel Buonaiuti filonazista…

Quello del Buonaiuti filonazista è un capitolo non indagato della sua vita, su cui gli storici avevano steso sinora un velo di ipocrisia o di “pietoso silenzio”. Una circostanza inaccettabile sia sul piano etico, sia su quello storico. Non si può ignorare, infatti, che l’apologia hitleriana fu opera non solo di uno studioso maturo – nel 1939 Buonaiuti aveva 58 anni – ma anche in un momento in cui la parabola del Reich era già in uno “stadio avanzato”, nel senso che erano passati oltre 7 anni dall’inizio delle malefatte, interne ed esterne, del führer. Eppure negli scritti dell’ex sacerdote, a seguito del Blitz-Krieg che diede inizio alla seconda Guerra mondiale, troviamo inni alla «formidabile potenza germanica» e, l’anno successivo (1940), addirittura, alla sciagurata decisione di Mussolini di entrare in guerra a fianco della Germania hitleriana. Scriveva infatti Buonaiuti dopo il famoso discorso del duce a Palazzo Venezia del 10 giugno 1940:

«La solenne parola di Roma ha suonato tempestivamente nell’ora sua, per dire al mondo che l’Italia della guerra e della rivoluzione non può straniarsi dalle vicende della politica europea».

Si è trattato di un atteggiamento utilitaristico per cercare di accattivarsi in anticipo le grazie dei due regimi che sembravano alla vigilia di una grande vittoria nel conflitto mondiale? Ciò è probabile, dato che Buonaiuti, ha rilevato Vittorio Messori, non è stato avulso come «molti esponenti del modernismo» del tempo, da «“furbizie” e ambiguità per evitare guai peggiori».

 

3. Il carattere antipopolare del modernismo

Oltre che sotto questo aspetto, la vicenda personale di Ernesto Buonaiuti non si presterebbe ad encomi e riconoscimenti pubblici anche perché, come il modernismo stesso, riflette una storia e una memoria che non ha riguardato che piccole e contraddittorie minoranze; mai, quindi, il popolo italiano in generale né quello cattolico in particolare.

Gli stessi modernisti d’inizio Novecento, del resto, non furono mai più che sparuti gruppi, riuniti attorno a “capiscuola” il cui numero, nel Vecchio continente, si contava sul palmo di una mano.

Oltre ai francesi Alfred Loisy (1857-1940) e Lucien Laberthonnière (1860-1932), si possono ricordare l’irlandese George Tyrrel (1861-1909) e l’austriaco Friedrich von Hügel (1852-1925), a cui dobbiamo aggiungere i due sacerdoti italiani sospesi a divinis Salvatore Minocchi (1869-1943) e, appunto, Ernesto Buonaiuti. Vero è che costoro ebbero numerosi “fiancheggiatori”, come ad esempio Romolo Murri (1870-1944), altro prete colpito da scomunica nel 1909 (poi revocata nel 1943), che fu molto attivo nel pubblicare riviste nelle quali si moltiplicavano gli pseudonimi per far apparire il movimento ramificato e presente a tutti i livelli. Come di recente rilevato da mons. Luigi Negri (1941-2021), il modernismo è rimasto sempre una «fede dei dotti, più preoccupata di piacere alle ideologie che di volta in volta hanno dominato il contesto del nostro mondo occidentale» che di convincere e affermarsi fra il popolo di Dio.

Non è un caso che, nonostante i tentativi di rivitalizzarne la figura e il “cattivo” insegnamento, la biografia di Ernesto Buonaiuti pubblicata nel 2001 da Giordano Bruno Guerri per i tipi della maggiore casa editrice italiana e dal titolo altisonante Eretico e profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete contro la Chiesa, per la stessa (ancora una volta, intellettualmente onesta) ammissione dell’Autore, «ha venduto circa un terzo dei miei libri precedenti… troppo sconosciuto il personaggio».

 

4. La scuola (anticattolica) del professor Ernesto Buonaiuti

Per quanto riguarda i “dotti”, comunque, almeno quelli che furono vicini all’allora prof. Buonaiuti, va detto che nessuno di essi conservò la fede; anzi, riportando di nuovo quanto osservato a tal proposito da Vittorio Messori, tutti

«i frutti del suo albero furono inquietanti: il suo allievo prediletto, Ambrogio Donini [(1903-1991)] (che intervistai per Inchiesta sul cristianesimo) divenne un marxista puro e duro, sino alla fine, e, nel comunismo staliniano, fu uno dei massimi teorici dell’ateismo. Nessuno della cerchia di discepoli di Buonaiuti rimase cattolico».

Sebbene convinto che il modernismo fosse il solo modo per permettere agli uomini contemporanei di salvare la fede, Buonaiuti causò non solo la perdita della fede da parte di tutto il gruppo di giovani che si formò attorno a lui, ma anche l’adesione di questi giovani alle varie culture laiciste e anticlericali del XX secolo. Non a torto, quindi, la Chiesa dovette rimuoverlo dalle cattedre ecclesiastiche che ricopriva.

Quando nel settembre 1904 fu obbligato a rassegnare le dimissioni dall’insegnamento ecclesiastico a causa delle gravi affermazioni polemiche rivolte contro la Chiesa e, in particolare, contro gli Ordini religiosi (per questo fu criticato dalla rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica), Buonaiuti fu aiutato economicamente ricevendo l’assicurazione dell’impiego di archivista presso la Sacra Congregazione della visita apostolica.

Nella prefazione alla sua Storia del cristianesimo lo stesso Buonaiuti giustifica del resto, dal punto di vista della Chiesa, il provvedimento della sua prima rimozione. Scrisse infatti:

«Non ci volle molto perché mi accorgessi che se il professore di dogmatica doveva fare il più crudele scempio delle testimonianze bibliche e patristiche per trarle a sostegno del [Concilio] Tridentino e del Vaticano [I], il professore di storia ecclesiastica era costretto a fare scempio crudelissimo della realtà storica, per costringerla sul letto di Procuste dei suoi schemi dogmatico-teologali. Fu il primo colpo alla mia convinzione ortodossa».

Anche don Luigi Orione (1872-1940), probabilmente su invito del Vaticano, aiutò Buonaiuti sia spiritualmente sia economicamente, dirigendo fra l’altro verso di lui alcune offerte di donazioni che riceveva per sé e per le sue opere. L’interessato, da parte sua, non si chiuse del tutto ai tentativi di amicizia offerti dal santo sacerdote, come testimonia fra l’altro la fitta corrispondenza conservata fra i due.

 

5. La rimozione dalla cattedra di storia del Cristianesimo a “La Sapienza”

Per quanto riguarda poi la rimozione statale dall’insegnamento di storia del Cristianesimo all’università “La Sapienza”, dal punto di vista religioso non fu affatto un “favore” fatto alla “fede concordataria”, poiché il posto di Buonaiuti fu assegnato, appunto, al suo allievo prediletto, quel giovanissimo Ambrogio Donini che, come detto, fu poi uno dei più radicali teorici dell’ateismo sedicente “scientifico”. Nell’intervista concessa a Messori il diretto interessato ripeté a tal proposito «di sentirsi – proprio come ateo marxista – discepolo fedele di Buonaiuti, avendo tirato le conseguenze logiche del suo modernismo».

Oltretutto a scontare le conseguenze della rimozione dalla cattedra statale fu la Chiesa e non il regime fascista. Dal 1931, infatti, Buonaiuti non svolse attività antifascista ma intensificò la polemica antiecclesiastica e antiromana: già nel dicembre del 1932, poté liberamente pubblicare a Milano il libro La Chiesa romana che, posto all’Indice con decreto del Sant’Uffizio del 25 gennaio 1933, godette però di ampia diffusione sia in Italia sia all’estero.

Oltretutto con tale orientamento Buonaiuti finì per accostarsi ai gruppi protestanti romani, presso i quali trovò, a partire dal 1932, la possibilità di tenere conferenze e lezioni. Dal 1933 prese anche sistematicamente parte ai convegni organizzati ad Ascona, nel Canton Ticino, dalla cultrice di teosofia Olga Fröbe Kapteyn (1881-1962) sotto la denominazione di “Eranos”.

Le conferenze tenute a Torino, a Milano e a Genova nel 1933 furono pubblicate a Modena nel 1935 col titolo Pietre miliari nella storia del cristianesimo, altra opera posta all’Indice con decreto del Sant’Uffizio del 15 gennaio 1936.

Non a caso dopo la caduta del governo fascista il rifiuto della reintegrazione nella cattedra di storia del Cristianesimo a “La Sapienza” fu opposto anche dalle nuove autorità democratiche. Nell’agosto 1944, infatti, alla petizione che scrisse a tal riguardo al ministro della pubblica istruzione Guido De Ruggiero (1888-1948), Buonaiuti ricevette una chiara risposta negativa: non poteva tornare a insegnare a causa dell’articolo 5 del concordato del 1929. Quest’ultimo, al terzo comma, impediva infatti – ma teoricamente come vedremo – ai «sacerdoti apostati o irretiti da censura» di «essere assunti o conservati in un insegnamento, in un ufficio od in un impiego [pubblico], nei quali siano a contatto immediato col pubblico». Si trattò quindi con tutta evidenza di un pretesto formalmente corretto ma dettato da sfiducia nei confronti del personaggio se, con decreto del ministro dell’istruzione successivo, Vincenzo Arangio-Ruiz (1884-1964), Buonaiuti fu reintegrato a tutti gli effetti nella carriera universitaria, con vigenza retroattiva a partire dal 1o gennaio 1932 (decreto ministeriale 12 aprile 1945).

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