Cristianesimo, immigrazione e gnosi

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di Claudio MeliAnno XV. 1-2020 – sez. Commentaria – p. 175-193

Il pensiero cattolico ha elaborato da secoli tutte le risposte alla questione dell’immigrazione: dietro il ribaltamento della dottrina tradizionale in merito, oltre all’influsso di potenti correnti intellettuali contemporanee, si cela uno dei più antichi nemici del Cristianesimo, la gnosi.

1. LA CARITÀ CRISTIANA SECONDO MURATORI

Nel 1723 Ludovico Antonio Muratori, bibliotecario del duca di Modena e degno rappresentante italiano di quella “Repubblica delle Lettere” che riuniva in rete epistolare i dotti d’Europa, pubblicava il Trattato della carità cristiana, per «servire alle idee e al bisogno della Sacra Compagnia»1 dello stesso nome, opera pia che egli aveva istituito nella chiesa di Santa Maria della Pomposa di cui era parroco: il libro, il cui titolo per esteso sembra restringere il campo (Della carità cristiana in quanto essa è amore del Prossimo), presenta in realtà l’amore del prossimo come esercizio dell’amore di Dio, essendo la carità cristiana un’unica virtù2. Il grande storico, che aveva particolarmente cara la sua Compagnia della carità e che, da “avvocato dei poveri”, nel Trattato poneva, accanto al Sacrificio dell’altare, la necessità dell’elemosina «a fine di placar Dio per noi o per gli altri nell’altra vita»3 – fino a sostenere arditamente che, di fronte al bisogno grave del prossimo, riesca più gradita a Dio la carità rispetto alla stessa offerta della Messa4 – tuttavia impostò la questione in senso radicalmente antipauperista.

Il valore della misericordia corporale infatti è tanto più elevato in quanto la povertà «è una pericolosa tentazione della vita dell’uomo e un fiero incentivo a moltissimi peccati»5, constata Muratori; d’altro canto, occorre evitare un esercizio imprudente della carità che provochi l’aumento della mendicità6, della quale il Modenese offre una visione del tutto demistificata, in quanto cioè oziosità viziosa che la carità non può permettersi di alimentare, e i cui danni, tanto temporali che spirituali, vanno dal pericolo di contagio sociale alla degenerazione in crimine: rilievi tanto più interessanti per noi, in quanto Muratori si riferisce esplicitamente al problema dell’immigrazione (che nella sua terminologia è quello dei «poveri esteri, o sia vagabondi forestieri, non cittadini né nazionali, che, abbandonato il proprio paese, vanno a mendicare ne gli altri il pane»7), e sufficienti a giudicare l’inadempienza di una potestà spirituale che, «per timore d’offendere la carità»8, lasci che l’uso disordinato di questa vada a pregiudizio del pubblico bene (oltreché dello stesso decoro cittadino), e di un’autorità spirituale che non solo legittimi tale andazzo, ma biasimi chi gli si oppone.

2. RAFFAELE SIMONE

L’attualità della dottrina cattolica, quale viene rielaborata da Muratori nella sua tematizzazione dell’immigrazione, emerge nettamente nella corrispondenza fra gli argomenti del nostro poligrafo e quelli di uno scrittore critico della presente gestione del fenomeno migratorio, il linguista Raffaele Simone. Nell’articolo intitolato La Grande Migrazione Internazionale (che, ampliato, sarebbe diventato il libro L’ospite e il nemico9), Simone ad esempio parla della difficoltà dell’integrazione di «masse islamiche di basso livello di istruzione»10 con la nostra cultura e dei rischi di infiltrazioni criminali e terroristiche, fino a prevedere il momento in cui questi “nuovi europei” decideranno il destino degli autoctoni dopo aver costituito le proprie rappresentanze politiche11: a questo fa riscontro il parere del teologo gesuita Martin Becanus riportato da Muratori, doversi respingere i poveri forestieri perché costoro, tra l’altro, portano nei paesi di arrivo «dei morbi, delle corruttele, delle eresie, delle liti e dei tradimenti»12; Simone poi, temendo per la tenuta economica dei sistemi di assistenza pubblica, offerta gratuitamente agli immigrati, nota come spesso le risorse vengano stornate dai cittadini verso di loro, e loro concessi svariati privilegi13, mentre Muratori lamenta che «i poveri della sua patria» siano «spogliati di limosine non rade volte dall’importunità de’ poveri stranieri»14; sia l’autore laico contemporaneo sia il classico cristiano valutano inoltre le possibili reazioni della popolazione in termini di contraccolpi sociali, il primo considerando «il risentimento dei cittadini europei, che temono che il lavoro, già scarso, sia riservato ai nuovi arrivati»15, il secondo la ribellione di «non pochi lavoratori alle fatiche dell’arti e alla coltivazione delle campagne» di fronte alla crescita della «folla degli oziosi»16 (tanto “domestici” che “forestieri”).

Il punto è che né gli antichi moralisti cattolici, né un progressista eretico come Raffaele Simone si peritano di riconoscere con obiettività l’attitudine degli stranieri, là dove questi dimostrano di volersi approfittare dell’altrui liberalità (Muratori cita sant’Ambrogio, il quale già ai suoi tempi raccontava di «poveri robusti e sani […] che vorrebbono assaissimo»17, e Simone individua per gli immigrati «il rischio di maturare una cultura del non-lavoro: scuola, assistenza sanitaria e ospedaliera, alloggio, alimentazione»18).
Muratori in particolare, sebbene esorti a non indagare con troppa sottigliezza (quasi si giustifichi l’avarizia) se i questuanti meritino l’elemosina, concludendo così con un saggio consiglio spirituale la sua trattazione dell’argomento, vi insiste diffusamente su quello che noi chiameremmo il “diritto” o meno a godere della pubblica carità, e si colloca su un piano di giustizia19 che sembra inattingibile al cattolicesimo odierno, e più in generale alla temperie culturale di cui esso partecipa.

3. RENATO CRISTIN

Raffaele Simone ha delineato i fattori che hanno contribuito a rendere l’Europa “mite” di fronte agli stranieri, fossero anche potenzialmente pericolosi, dal senso di colpa (alimentato soprattutto dalle sinistre) per le imprese coloniali e i totalitarismi novecenteschi, al “perdonismo” della sua legislazione penale fino al “sans-frontièrisme fiducioso” dell’Unione Europea, il tutto combinato con «la mentalità illuministica, talune istanze del mondo cristiano-cattolico [modernista, specifichiamo noi] e del paradigma democratico»20; dobbiamo però al filosofo Renato Cristin la migliore analisi di quello che lui stesso ha definito «il complesso d’Europa»21, cioè la patologia dell’identità occidentale fatta di mortificazione di sé e ipervalutazione dogmatica dell’Altro (con la “a” maiuscola), di masochismo ed esotismo, che ha come conseguenza diretta e più funesta la doppia mancanza di comprensione, di chi si è e di chi siano quelli che arrivano, quindi l’impossibilità stessa di concepire il caso in cui siano gli stranieri a odiare gli autoctoni nel cui territorio si insediano.

I prodromi di questo atteggiamento sono rintracciati da Cristin già nel contatto con le culture indigene all’epoca delle scoperte geografiche, e nel riflesso di ciò nell’opera di un Montaigne, ma l’autentica perversione dello spirito critico, in cui pure viene fatta consistere l’anima dell’Europa, si compirebbe con la tipica filosofia della post-modernità, il post-strutturalismo: questo, a rinforzo di un terzomondismo voltosi in colonizzazione inversa e del multiculturalismo, che persegue la diversità come fine a se stessa, svuotandola di significato e portando piuttosto all’indistinzione, giunge a portare il sé nell’alterità e alla sussunzione stessa dell’io nell’altro. Le conseguenze politico-sociali, rilevate da Cristin, di questo pensiero fatto proprio dalle istituzioni occidentali vanno a ledere la giustizia anzitutto, se è vero che «ciò che si ammette per gli stranieri è, in misura crescente, rifiutato agli autoctoni»22, vale a dire il richiamarsi alle proprie tradizioni e ciò che questo comporta, e se, a causa dell’«indulgenza buonistica» e della «remissività contrizionistica»23 invalse nella cultura europea, le quali rivelano quella stessa paura che viceversa sono accusati di fomentare i movimenti contrari all’immigrazione di massa, subire le intimidazioni dell’integralismo islamico viene indicato come atto di carità. A livello cattolico, ciò si risolve nel paradosso per cui
«la Chiesa debba veicolare, in nome di un irenismo religioso meramente supposto, l’estraneo da sé in quella cultura particolare che è sorta anche grazie al determinante contributo della Chiesa stessa»24.

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[1] Edizioni Paoline, Roma 1961, p. 15.
[2] Ivi, pp. 22-23.
[3] Potendosi applicare il merito dell’elemosina all’anima nostra e a quella dei defunti: cf ivi, passim.
[4] Ciò in considerazione del valore e del merito finiti dell’atto di offerta dell’uomo (sacerdote e persona per cui si celebra), non di quelli infiniti della vittima, Gesù, che è anche il principale offerente: cf ivi, pp. 290-291.
[5] Ivi, p. 303.
[6] Il curatore della moderna edizione del Trattato muratoriano chiama in causa pure i «questuanti appartenenti ad Ordini o Congregazioni religiose», in una nota a un passo del Modenese che si riferisce al divieto di elemosinare senza il permesso del titolare della diocesi (ivi, pp. 639-640); ora, anche ammettendo che questa aggiunta corrisponda allo spirito di Muratori, è superfluo sottolineare che qui non è in discussione la povertà volontaria degli Ordini mendicanti.
[7] Ivi, p. 628.
[8] Ivi, p. 632.
[9] Ernesto Galli della Loggia, recensendo, pressoché unico nella stam-
pa ufficiale, questo volume, evidenzia l’appartenenza dell’autore all’area culturale di sinistra, e spiega appunto come ritorsione per il “tradimento” di lui il silenzio con cui il suo lavoro è stato accolto: cf E. galli della loggia, Immigrazione e multiculturalismo. Il silenzio degli «accoglienti», in Corriere della sera, 25 maggio 2019 (www.corriere.it/19_maggio_25/ raffaele-simone-l-ospite-il-nemico-garzanti-3962e142-7f0d-11e9-a4446e83400b8609_amp.html).
[10] R. siMone, La Grande Migrazione Internazionale, in MicroMega, ottobre 2016, p. 10.
[11] Ivi, p. 15.
[12] L. A. MuRatoRi, Trattato della carità cristiana e altri scritti sulla carità, p. 638.
[13] Cf R. siMone, La Grande Migrazione Internazionale, p. 11.
[14] L. A. MuRatoRi, Trattato della carità cristiana e altri scritti sulla carità, p. 637.
[15] R. siMone, La Grande Migrazione Internazionale, p. 10.
[16] L. A. MuRatoRi, Trattato della carità cristiana e altri scritti sulla carità, p. 642.
[17] Ivi, p. 634.
[18] R. siMone, La Grande Migrazione Internazionale, p. 11.
[19] Cf il classico studio di g. del vecchio, La Giustizia, Studium, Roma 1959, pp. 94-95: «Questa forma di apprezzamento o ponderazione obiettiva è appunto imposta dalla giustizia; la quale culmina dunque nell’esigenza che ogni soggetto sia riconosciuto (dagli altri) per ciò che vale, che a ognuno sia attribuito (dagli altri) ciò che gli spetta».
[20] R. siMone, La Grande Migrazione Internazionale, p. 4.
[21] R. cRistin, Il complesso d’Europa. Comprensione di sé e interpretazione dell’altro nell’identità europea, in Etica & Politica/Ethics & Politics XVI (2/2014) 750-850. A quest’articolo magistrale può essere rimproverata solo l’adesione di fondo all’occidentalismo contemporaneo di stampo liberale.
[22] Ivi, p. 815.
[23] Ivi, p. 825.
[24] Ivi, p. 833.

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