Competenza Eucaristica
di Winfried Wermter, CO – Anno XVII. 1-2021 – sez. Theologica – p. 197-223
Succede spesso che mentre nei diversi ambiti dello scibile e della vita si richieda una “competenza” adeguata per poter operare, quando invece ci si accosta al mistero dell’Eucaristia prevalgono superficialità e ignoranza che aprono la strada al sacrilegio. Il saggio si propone di rendere edotto chi si accosta a questo grande Sacramento, partendo dall’Eucaristia come mistero di fede, memoriale della Morte di Gesù in Croce, sacrificio di espiazione e soddisfazione vicaria offerta da Gesù al Padre in nostro favore. Con la prima Lettera ai Corinzi, poi, si distingue una degna recezione dell’Eucaristia da una indegna, secondo quanto san Paolo ha ricevuto direttamente dal Signore. Tutto ciò conduce a vivere una vita eucaristica, improntata su tre connotati: obbedienza, offerta e adorazione.
Al giorno d’oggi si parla ovunque di competenze. Ed è certo importante che ognuno sia preparato nel proprio settore, abbia conoscenza ed esperienza… Ma perché ora usiamo questo termine alla moda proprio in questo contesto, nella contemplazione del mistero dell’Eucaristia? – è una provocazione bella e buona! Capita a volte che molta gente voglia mettere bocca in certi temi pur non avendone cognizioni, o avendone di scarse. E allora semplicemente si nuota – per lo più inconsapevolmente – nella corrente dei luoghi comuni (mainstream).
Questo succede quando abbiamo a che fare con la famiglia, l’educazione o la fede. Un esempio di questo comportamento sono i concetti di “ospitalità” o anche “misericordia” – non sempre applicati in modo corretto –che ritornano sovente nel contesto della Celebrazione o della Cena eucaristica.
Può capitare che in una celebrazione religiosa si trovino riuniti, magari per un’occasione familiare, persone appartenenti a confessioni (o addirittura religioni) diverse. Perché dunque non essere ospitali e non invitare tutti gli ospiti alla Mensa del Signore? Non si vuole certo escludere nessuno! Molti ragionano in questo modo o in modo analogo. L’idea di ospitalità sembra in questo contesto addirittura proibire limiti, per se stessi o per gli altri. Chi vorrebbe essere così “impietoso”, così antiquato, così chiuso…!
Ci sono però anche ambiti in cui, a ragione della propria competenza, è addirittura un dovere essere impietosi, come per esempio il medico che non “concede” al malato di diabete una fetta di torta alla festa di compleanno. Visto in modo superficiale questi apparirà impietoso, ma in realtà il suo divieto è più misericordioso della sciocca insistenza del festeggiato nel voler prendere un pezzo di dolce. Allo stesso modo appaiono impietosi quegli insegnanti che all’inizio dell’anno scolastico iniziano subito a pretendere molto dagli studenti. Alla fine però saranno proprio questi insegnanti o allenatori intransigenti ad essere i più stimati nonché i più amati. Anche nel contesto della Celebrazione eucaristica si può constatare questa apparente contraddizione. Nel presente lavoro vorremmo tentare di fare una distinzione tra argomenti oggettivi e luoghi comuni superficiali affinché la partecipazione all’Eucaristia torni a diventare più vera e più feconda. Per prima cosa accenneremo qui al mistero della fede, ossia al mistero dell’Eucaristia (I). In seguito analizzeremo, sulla base della prima Lettera ai Corinzi, come san Paolo distingua una degna ricezione dell’Eucaristia da una indegna (II), e infine vedremo come una corretta comprensione della Celebrazione eucaristica conduca a una vita improntata all’Eucaristia (III).
I
MISTERO DELLA FEDE (MYSTERIUM)
1. IL CUORE DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
Fin dall’antichità, nel momento culminante della Celebrazione eucaristica, subito dopo le parole della Consacrazione, il sacerdote (o il diacono) proclama ai fedeli: «Mistero della fede!». Questo è un segno non trascurabile del fatto che il cuore della Celebrazione eucaristica può essere compreso solo alla luce della fede. Chi non è stato introdotto nel mistero della fede rimane uno spettatore. Certo, potrà leggere, per esempio, che cosa significhi in questo contesto l’atto di inginocchiarsi o l’elevazione o lo spezzare l’Ostia… ma non potrà veramente viverne e interiorizzarne il significato. Non sarà “trasformato” come colui che, nella fede, si unisce al Signore crocifisso e risorto. La risposta della comunità dei fedeli all’invocazione del sacerdote è: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta». Questa risposta dei fedeli riassume in poche parole il senso di tutta la Celebrazione eucaristica.
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- In primo luogo facciamo memoria della morte in croce di Gesù Cristo nostro Signore. Nella Prima Lettera ai Corinzi si legge infatti: «Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11,26). Questa morte è il punto di svolta nella storia dell’umanità: il Figlio di Dio si è fatto crocifiggere per redimerla attraverso il sacrificio della propria vita, per “riscattarla” dalla schiavitù del peccato: «In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7); «È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue…» (Rm 3,25). Gesù è dunque morto per tutti noi come vittima sostitutiva di espiazione;
- al messaggio della Redenzione appartiene però anche, e in maniera essenziale, la risurrezione di Cristo, che, proprio come la morte, viene rivissuta durante ogni Celebrazione eucaristica: «Ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,17). La vita del cristiano include anche la consapevolezza della risurrezione di Gesù Cristo, alla quale tutti possiamo e dobbiamo prendere parte sempre e di nuovo. In questo senso ogni Messa è anche una festa pasquale. La “proclamazione” della risurrezione avviene soprattutto attraverso la gioia e la pace che ogni vero cristiano irradia – un mistero per i non credenti;
- non sono però solo la morte e la risurrezione a costituire il “mistero” del cristiano credente. È determinante anche orientare tutta la vita verso l’eternità in Dio. Per questo si continua dicendo: «…in attesa della tua venuta». Per il cristiano la morte non è un’opprimente mancanza di senso e di speranza al termine della vita. Il cristiano si avvia in maniera consapevole, addirittura a testa alta, verso la porta che lo introduce all’unione totale con Dio nell’eternità. Nella Celebrazione eucaristica gli viene ricordato sempre e di nuovo che la vita su questa terra è solo un preludio, una prova per la vita in Cielo. Per questo egli è in grado di affrontare la morte con libertà interiore.
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Chi non ha o non ha ancora integrato completamente nella sua vita questi tre aspetti della Celebrazione eucaristica – morte e risurrezione di Cristo, così come l’orientamento della vita verso l’eternità – non può partecipare pienamente alla Santa Messa. Può forse percepire una certa atmosfera di devozione, provare sentimenti edificanti o rasserenanti, ad esempio per mezzo della musica sacra o di un’omelia interessante…, ma questo potrà trovarlo anche altrove, senza Celebrazione eucaristica. La partecipazione autentica alla Messa, dalla quale scaturisce una forza vitale trasformante, possono viverla solo quanti sono stati introdotti, più o meno consapevolmente, nella pienezza della fede, il cui cuore è costituito dagli aspetti summenzionati. Se a destra e a manca vengono mosse così tante critiche alla celebrazione della Santa Messa, spesso è perché si va a Messa un po’ come a un concerto: ci si aspetta qualcosa in cambio del prezzo del biglietto, si vuole essere serviti… un tale atteggiamento consumistico non tiene conto del carattere sacrificale della Santa Messa. La giusta disposizione del partecipante dovrebbe invece consistere in una domanda come questa: che cosa posso, che cosa debbo io portare come “regalo” da offrire all’ospite, cioè da aggiungere al sacrificio di Cristo, per poter così partecipare alla sua opera di Redenzione? L’atteggiamento consumistico – il più delle volte inconsapevole – non arriva assolutamente a concepire che ad ogni Santa Messa – in un certo senso come in occasione di una festa di compleanno – si dovrebbe portare un regalo all’ospite, per diventare noi stessi un regalo, uniti a Cristo. Per questo motivo un tale atteggiamento consumistico passivo rende spesso la persona “incompetente” in materia di Celebrazione eucaristica: essa non sa bene che cosa venga in realtà celebrato e manca spesso anche della capacità di condividere, di donare, di essere solidale. Si tratta perciò di essere felici proprio nel rendere felici Dio e il prossimo.
2. NECESSITÀ DELL’INIZIAZIONE AL MISTERO DELLA FEDE
Prima che una persona possa partecipare in maniera sensata e autentica alla celebrazione del «mistero della fede», cioè alla Celebrazione eucaristica, ha bisogno di una preparazione opportuna, di una “iniziazione”. Non si tratta con ciò di comunicare formule o riti segreti (disciplina dell’arcano). Chiunque sia interessato a saperne di più può trovare spiegazioni dettagliate nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Tuttavia, si può definire veramente “iniziato” colui nel quale è scoccata la scintilla della fede. Questo va oltre la coerenza teologica degli argomenti che riguardano Dio o delle funzioni religiose o della pietà. Anche una buona teologia è certo utile e necessaria, ma non basta. Per essere veramente iniziati ai misteri della fede bisogna anche sperimentare come la fede plasmi la vita, addirittura la trasformi. La preghiera diventa quindi un ponte vivente verso Dio. La Parola di Dio governa le scelte di vita, lo stile di vita, l’orientamento e il comportamento del credente… chi ha solo letto il Catechismo, ma non ha (ancora) sperimentato la forza trasformante della fede non è veramente iniziato e perciò non è nemmeno sufficientemente preparato (“competente”) alla piena partecipazione ai Sacramenti e alla vita della Chiesa.
L’abilità decisiva del cristiano si rivela nel rapporto con il dolore, la sofferenza, la “croce”. Gesù stesso lo dice molto chiaramente: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Solo la persona che ha accettato questo, cioè che crede veramente, diventa discepolo di Cristo nel vero senso della parola. Questi segue Lui e accetta consapevolmente anche il dolore nella sua vita, cioè la “sua croce” per unirla alla Croce di Gesù Cristo e renderla così fruibile per l’opera della Redenzione. San Paolo esalta addirittura la sapienza della croce, che invece è scandalo agli occhi del Giudei e follia per la sensibilità pagana (cf 1Cor 1-2). Questa unione con il Redentore, e cioè la sequela totale di Cristo, è espressa, approfondita e consolidata in modo particolare dalla Celebrazione eucaristica, per poi portare frutto nella vita pratica. Questa è anche la preparazione più importante, addirittura decisiva, dei catecumeni in vista del Battesimo. Chi non ha ancora imparato a rapportarsi alle sue croci quotidiane in maniera cristiana non è ancora veramente “competente” per ricevere il Battesimo – per non parlare della partecipazione all’Eucaristia. E questo è il nostro grande dilemma: la maggior parte dei cristiani sono stati battezzati da bambini (cosa che in sé è senz’altro buona!), ma in età matura non hanno recuperato affatto il catecumenato, o lo hanno fatto in maniera insufficiente. Questo fa sì che i Sacramenti, e soprattutto l’Eucaristia, siano compresi e praticati in maniera insufficiente, poiché è evidente che manca la competenza eucaristica. Allora non c’è da meravigliarsi se molti bambini già subito dopo la Prima Comunione non vanno più a Messa! Forse avranno imparato al catechismo come si preparano i pani azzimi degli ebrei, ma non sono mai stati educati a rapportarsi con la sofferenza in maniera cristiana. Non sono quindi veramente “iniziati” e cominciano ad annoiarsi presto dell’Eucaristia. Questa è anche la vera, profonda ragione delle chiese vuote e delle molte uscite dalla Chiesa.
E come si potrebbe praticare una tale “iniziazione” con bambini di otto anni quando vengono preparati alla Prima Comunione o sono addirittura ammessi alla Comunione anticipata? Quali competenze sono richieste in questi casi? – Tradizionalmente si richiede che i bambini siano ammessi a ricevere la prima Comunione quando sono capaci di distinguere il “Santo Pane” dal pane comune. Questa condizione però si rivolge più all’intelletto che alla vita pratica. A mio parere la capacità e la disponibilità a “fare un regalo” a Gesù fanno parte della competenza eucaristica, cioè della condizione necessaria per ammettere una persona – a prescindere dall’età e dalla cultura – a partecipare alla Celebrazione eucaristica: problemi ce ne sono abbastanza, anche nella vita quotidiana di un bambino. Per esempio fare i compiti, aiutare la mamma che ha bisogno di una mano, obbedire, saper perdonare e riconciliarsi, sopportare un’ingiustizia… di tutto si può fare un regalo a Gesù se lo si riempie d’amore, cioè se lo si “offre in sacrificio”. Si tratta di potenziare la preghiera a favore di qualcuno attraverso delle offerte spirituali, di rafforzarla, offrendola così per i vivi o per i defunti, facendone un regalo che dia sollievo e aiuto. Sono così tante le intenzioni e le sofferenze di cui possiamo farci carico per dare sollievo agli altri attraverso la preghiera vicaria: malattie, agonia, necessità di espiazione (per le anime nel Purgatorio), esami… Questa motivazione, insieme all’esperienza della gioia di donare, conduce a una gioia e a una pace interiore «non come la dà il mondo» (Gv 14,27). Se i bambini imparano già da piccoli ad affrontare i loro problemi e le loro sofferenze in questo modo, se si insegna loro a trasformare la perdita in guadagno attraverso la preghiera sincera e la Celebrazione eucaristica, allora essi saranno davvero introdotti nel mistero pasquale!