La fondazione metafisica dell’etica alla luce del pensiero di san Tommaso d’Aquino

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di Umberto Galeazzi – Anno XVI. 2-2020 – sez. Philosophica – p. 105-121

Il saggio principia dalla fondazione del “fine ultimo” dell’uomo secondo la concezione dell’Aquinate, il quale puntualizza che «un uomo desidera e persegue come fine ultimo ciò a cui tende come a un bene perfetto e capace di realizzare se stesso pienamente, poiché ogni cosa tende alla sua perfezione…». Di qui poi si passa ad esaminare la legge morale naturale quale riflesso della Legge eterna. Infatti, come dice C. Fabro, l’obbligazione morale, oltre che sul fine ultimo, si basa sulla fondazione della legge morale naturale nella Legge eterna. Con questa fondazione etica, l’Autore intende superare la posizione di Kierkegaard, poiché l’agire dell’uomo e perciò l’etica non hanno il fine in sé, ma tendono all’Altro da sé. Perciò, non è affatto vero che «la fede comincia appunto laddove il pensiero finisce».

 1 PREMESSA

Affrontare il problema della fondazione dell’etica è un compito arduo, che da un lato richiede di tener conto di quanto hanno detto tanti grandi pensatori in merito, e che dall’altro non è una evasione erudita, ma invece coinvolge il senso della no – stra esistenza con interrogativi ineludibili riguardanti le scelte del nostro agire, specialmente quelle decisive. Sicché non avrei potuto assumere questo impegno se non sulla base di ciò che ho cercato di imparare dal genio speculativo di Tommaso d’Aquino, attraverso un confronto non sbrigativo con i suoi testi.

Mirare oggi alla comprensione del pensiero dell’Aquinate non è facile, perché gli uomini e le donne del nostro tempo sono condizionati dalla cultura e dal pensiero della modernità (includendo in questo termine anche l’età contemporanea), in cui parole, nozioni, posizioni teoretiche e pratiche assumono significati spesso assai diversi rispetto a quelli tommasiani. Tuttavia ciò non vanifica l’impresa del comprendere. Infatti, un classico della filosofia come Tommaso d’Aquino riesce a parlare non solo agli uomini del proprio tempo, ma anche a quelli di epoche e secoli successivi, onde viene letto, studiato e interpretato anche in altri contesti storici e culturali. Perciò nel comprendere dobbiamo mettere in questione le precomprensioni che abbiamo, in quanto appartenenti al nostro tempo, e cogliere somiglianze, affinità, analogie, ma anche differenze, dissonanze, opposizioni rispetto alla sapienza tommasiana. Ciò implicherebbe un confronto critico con significativi pensatori della modernità. Ma qui posso fare solo qualche cenno, per dare spazio alla fondazione tommasiana, e quindi devo rinviare al mio libro più recente2 , in cui è tematizzato quel confronto. Per intenderci faccio un solo esempio, assai rilevante per l’etica.

Quello che per Kant è il principio della moralità, cioè l’autonomia, come autolegislazione, per Tommaso, all’opposto, è il principio dell’immoralità. Vediamo brevemente cosa dice Kant: l’autonomia, come «principio supremo dell’etica»3 , come «l’unico principio di ogni legge morale»4 , è «la sottomissione della ragione alle sole leggi che si dà da se stessa»5 . In tal modo se l’umana soggettività pretende di far dipendere dal suo arbitrio la legge morale e, in base ad essa, determinare il bene e il male, allora si capisce che da questo principio deriva – come si è verificato storicamente – il prevalere dell’attuale dissoluzione dell’ordine etico, specie nei mezzi di comunicazione di massa e in una certa “cultura”, asservita al pensiero unico dei potenti di questo mondo.

Ma a questo principio possiamo trovare una risposta critica in Tommaso, che, quando si occupa del primo e originario peccato e, quindi, della radice del disordine morale, spiega che esso è consistito (e consiste) nella pretesa dell’uomo di «determinare, in base alle sue capacità naturali, quale fosse il bene e il male per sé nell’agire», cioè che l’uomo «volle fondarsi sulle proprie forze disprezzando l’ordine del disegno divino»6 . Ciò comporta degli esiti disumanizzanti, come emerge dalla considerazione, su cui intendo soffermarmi, delle ragioni di san Tommaso d’Aquino. Mi è sembrato, però, importante evidenziare subito le scelte di fondo di fronte a cui si trova l’uomo di oggi per l’orientamento decisivo della sua esistenza.

2 FONDAZIONE DELL’ETICA E FINE ULTIMO

 Il fine ultimo ha un rilievo primario nella fondazione razionale dell’etica. Dice Tommaso: «Il primo principio delle azioni, di cui si occupa la ragion pratica, è il fine ultimo»7 . Ne consegue che, in base a questo, la riflessione etica valuta le azioni umane onde discernere quelle che permettono di conseguire il fine ultimo da quelle che, invece, sono di ostacolo8.

Gli atti umani – cioè quelli di cui si occupa la filosofia morale, in quanto l’uomo li compie liberamente, avendone la responsabilità – si distinguono in base al fine che l’uomo, avendo deciso, si propone di raggiungere, fine inteso sia come principio in base a cui l’atto viene posto, che dà origine all’atto, sia come termine in cui la volontà si appaga avendolo raggiunto9 . Sicché il fine è primo nell’intenzione dell’agente e ultimo nel conseguimento. Noi non viviamo le nostre azioni come separate l’una dall’altra, e quindi nemmeno i fini delle azioni sono senza relazioni tra di loro, anzi in genere perseguiamo dei fini intermedi che sono considerati dei mezzi per altri fini e così via, fino ad arrivare a un fine ultimo a cui tutto si subordina.

Onde scegliamo non solo i fini delle singole azioni, ma facciamo anche una scelta di rilevanza primaria che riguarda un certo ordine di priorità tra i diversi fini, per cui alcuni sono visti come più importanti, altri meno, uno è perseguito in funzione di un altro e quest’ultimo in funzione di un altro ancora e così via; e tutto ciò sulla base di un fine che è considerato come supremo, che è voluto per sé e non per altro e in funzione del quale sono perseguiti tutti gli altri fini. Nei momenti cruciali si evidenzia qual è veramente il fine ultimo per un uomo, perché è quello a cui tendono le scelte fondamentali e la direzione del suo agire, nonché l’affezione del suo cuore. Si tratta della questione decisiva dell’esistenza ed è la stessa questione del sommo bene: per quale fine impegno tutta la mia vita, in quanto lo ritengo il sommo bene? Infatti

«un uomo desidera e persegue come fine ultimo ciò a cui tende come a un bene perfetto e capace di realizzare se stesso pienamente (completivum sui ipsius), poiché ogni cosa tende alla sua perfezione […]. Bisogna, dunque, che il fine ultimo soddisfi talmente ogni desiderio ed esigenza dell’uomo, da non lasciare niente da desiderare e da ricercare all’infuori di esso»10.

Questo, dunque, è il problema fondamentale della vita, la cui realizzazione dipende dal riconoscere, amare e raggiungere quel bene che è tale da meritare di essere considerato come il fine ultimo, e invece il fallimento dipende dal voltargli le spalle, per rincorrere beni parziali, illusori e, in definitiva, deludenti. È questa la scelta di fondo che segna la direzione della nostra vita, in rapporto a cui si valutano le tappe, i progressi, gli erramenti, le involuzioni, le singole azioni, i desideri e gli amori particolari.

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1 Relazione tenuta all’Università d’Estate 2020 della Fondazione Lepanto.

2 U. GALEAZZI, Pervertimento dell’etica. La via di S. Tommaso e la malattia mortale nel mondo di oggi, Chorabooks, Hong Kong 2019.

3 I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, trad. it. di V. Mathieu, in IDEM, Fondazione della metafisica dei costumi e Critica della ragion pratica, Rusconi, Milano 1982, p. 141.

4 IDEM, Critica della ragion pratica, p. 217.

5 IDEM, Che cosa significa orientarsi nel pensare, trad. it. di M. Giorgiantonio, Carabba, Lanciano 1975, p. 106.

6 SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiæ, II-II, q. 163, a. 2, testo latino dell’edizione leonina con trad. it. a fronte a cura dei Domenicani italiani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1985, 35 voll. (abbrevieremo S.Th.). In Sent. = Scriptum in IV libros Sententiarum magistri Petri Lombardi, in S. THOMÆ AQUINATIS, Opera omnia, curante R. Busa, Stuttgart-Bad Cannstatt 1980, vol. I.

7 S. Th., I-II, q. 90, a. 2.

8 Cf S. Th., q. 1, prologo; q. 6, prologo.

9 Cf S. Th., I-II, q. 1, a. 3, corpus e ad 1.

10 S. Th., I-II, q. 1, a. 5.

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